Andrés Neuman: racconti con bonus track
Sono stata alla data padovana del tour di Andrés Neuman, precisamente alla libreria Zabarella, dove ha presentato “Le cose che non facciamo”, edito da Sur. Questa è la versione buona degli appunti che ho preso e delle suggestioni emerse durante quell’entusiasmante ora e mezza.
Quello di Andrés Neuman, a suo dire, è un libro con bonus track. E già sentirlo mentre lo definisce così mette il lettore a suo agio: non si trova davanti a un misterioso individuo che cavalca le onde di indecifrabili arcaismi, ma di fronte a un giovane autore non privo di autoironia e capace di cogliere la grandezza della parola scritta -e orale, visto che recita alcuni suoi brani a memoria!- senza prendersi mai troppo sul serio.
Partiamo quindi dalla fine, dalle bonus track: una serie di dodecaloghi incoerenti fra loro perché ispirati a diverse “epoche” letterarie che vanno dalla più ortodossa alla più sperimentale. Un solo dodecalogo non sarebbe bastato, spiega Neuman, per racchiudere la pluralità sfaccettata e contraddittoria della narrazione.
All’autore argentino piace sfidare i luoghi comuni, per questo si diverte a chiedere ai lettori quanti personaggi si trovano in uno dei suoi racconti, e a sentire che le risposte vanno da “uno e mezzo” a ben quattro, a tentare la stesura di un racconto che sfugga al mito della circolarità nella quale tutto si chiude in maniera prevedibile e fin troppo perfetta.
Se c’è stato chi teorizzava che, se nella prima pagina si fa comparire una pistola, poi la si dovrà far sparare, Neuman tenta invece di smontare questa idea. Non tutto va detto prima, l’autore deve fermarsi prima di lasciare spazio all’autocompiacimento, una sorta di coitus interruptus che però, in narrativa, vale molto di più di un orgasmo che porterebbe al piacere soltanto l’ego dell’autore e annoierebbe il lettore, come in un rapporto di coppia mal riuscito.
I testi hanno bisogno di meno parole rispetto agli scrittori, dice Neuman, e sentire un autore che dice così riporta all’idea che lo scrivente sia in fondo soltanto uno strumento che le storie usano per emergere, potenti e complete nella loro vita autonoma e parallela.
Ancora, Neuman trova innaturale l’obbligo della coerenza, imposta all’autore di racconti molto più che a chi scrive romanzi, il paletto di dover inserire tutto in una cornice narrativa che blocca il fluire libero della creatività dell’autore. “Mi piacciono le raccolte di racconti che siano varie, ma non caotiche, così come penso che la coerenza non sia rappresentata dalla ripetizione e dalla prevedibilità, altrimenti tutti si annoierebbero”, dice il giovane autore, e Paolo Zardi, che lo presenta, racchiude l’idea nella valida metafora che riporto: “La raccolta di racconti intesa quindi come un album, non come una playlist”.
Non tutti gli album, infatti, sono concept album, ma tutti sono intesi per essere proposti nella loro interezza, nel susseguirsi delle trame. Benché infatti Andrés Neuman stesso affermi di gioire all’idea di poter scoprire un linguaggio nuovo ogni cinque-dieci pagine, ci sono alcune tematiche che si propongono a più riprese.
Prima fra tutte, quella dell’identità, che emerge nei due personaggi che, in uno strano gioco transferale, si fanno uno terapeuta dell’altro al punto che è impossibile stabilire chi sia il paziente vero. O, anche, nella coppia troppo simile, quasi identica, nel triangolo amoroso in cui aspirazioni desideri e incubi si mescolano con la realtà, nella descrizione di un padre partoriente che, nel racconto “Dare la luce”, respira affannosamente in sala operatoria.
L’idea, spiega Neuman, è nata quando ha sentito coppie eterosessuali parlare al plurale in frasi come “siamo incinta”: una rivoluzione grammaticale che sfida la biologia e mira alla parità di genere, una battaglia insieme politica, ideologica, metaforica ma anche fisica. Ne risultano riflessioni mai banali dell’autore, che evidenzia come sia svilente e superficiale limitarsi a sei definizioni grammaticali per descrivere le identità quando invece la realtà vede “noi” ben diversi quando si parla di un rapporto di coppia, intimo ed esclusivo, di un gruppo di sconosciuti o ancora di una famiglia che, in quelle tre lettere, porta con sé secoli e generazioni passate.
Spesso ricorre l’incubo che l’incontro con i propri autori prediletti risulti deludente, con Andrés Neuman questo rischio non esiste. Il ragazzo sorride, lascia la parola ai lettori, anche solo ai curiosi, ci scherza, racconta di come trovi interessante gestire lo spazio e il tempo come in un laboratorio, comprimendoli e dilatandoli a piacimento, portandoli ad uno sviluppo anomalo. C’è il ritmo scandito dal respiro polmonare, una frase tracciata sulla schiena di una madre malata ma non riportata al lettore, metafora ellittica di troppi silenzi eloquenti nel rapporto madre-figlio. Il tempo va gestito perché il racconto impone per sua natura la concisione, le identità quindi devono emergere in un minor tempo, comprimendosi anch’esse, spesso mescolandosi, come accade nei racconti dell’autore argentino. Le sue analisi sono argomentate e dinamiche, ma mai presuntuose. È bello sentirlo mentre riscontra quanto la letteratura sia privilegiata rispetto al cinema -per una volta!- per la possibilità di giocare con la grammatica e vedere in un “noi” familiare qualcosa di diverso da un “noi” generico, anonimo, impersonale. Neuman, in sintesi, è uno di quegli autori con cui si passerebbe volentieri un pomeriggio in un caffè a parlare. Non potendolo fare, visto che da poco si è concluso il suo tour in Italia, non resta che tenere sott’occhio il suo ultimo lavoro, “Le cose che non diciamo”, pubblicato da Sur.