Zerbino e Imperatore
Monsieur l’Empereur, per dirla con eleganza, è il soprannome che il mio amico Zerbino mi ha sempre affibbiato. Che suona meglio di signor Imperatore, che invece puzza un po’ di presa per il cosiddetto. Non ho mai capito, in fondo, cosa intenda dire Zerbino, perchè io di signori e imperatori non ho mai voluto saper niente. Eppure lui insiste ancora oggi e mi saluta sempre con un Ave Cesare! A me è sempre parso un tantino esorbitante, ma lascio fare. Mi sembra male contraddirlo, quando dice che c’ho proprio le physique du rôle.
Beh, in effetti, sono nato figo. E dire figo è dire poco. Ognuno ha le sue croci, che volete che vi dica. Una delle mie (e nemmeno la peggiore) è avere stampata sulla faccia una bellezza stratosferica. Guardate, una cosa che solo ad ammetterlo mi sento in imbarazzo come uno struzzo ubriaco. Ma non so che farci: son bello di natura e non mi rimane che accettarlo con rassegnazione. In effetti, sono nato figo. E dire figo è dire poco.
E come se non bastasse c’ho una capoccia da premio Nobel. Non dico per dire, ma ho fatto le elementari, le medie e le superiori in un anno solo. Un bambino prodigio alla miliardesima potenza, una cosa che nemmeno Mozart, Picasso e Stevie Wonder presi tutti insieme appassionatamente. E come se non bastasse c’ho una capoccia da premio Nobel.
Dopo di che Zerbino mi ha convinto che, per passare il tempo, partecipare alle olimpiadi sarebbe stato bello. Così mi son portato a casa una ventina di medaglie d’oro. Intanto pubblicavo, a tempo perso, sedici romanzi d’avventura e trentadue fantapolizieschi. Producevo dodici serie tv e ventiquattro colossal. Giravo una decina di film, ne interpretavo venti premiati con l’Oscar, la Palma e l’Orso d’oro. Ho vinto le elezioni negli Stati Uniti, fondato Google, Facebook e inventato il baciamano. Ho fatto far la pace a Tom e Jerry, saldato finalmente il debito italiano, bonificato l’Isis e battuto a Risiko Silvio Berlusconi. Ho fatto voto di non prendere sul serio mago Merlino, giurato di dire sempre la verità (dica: lo giuro) e concluso il mio pontificato, summa cum laude, in odore di santità.
Sì, sembra che io stia esagerando. No, vi garantisco che non è uno scherzo, ma tutta farina del mio sacco.
Anche se, in effetti (ora che ci penso), potrei aver confezionato benissimo uno scherzo come questo e il mio sacco potrebbe comodamente contenere tutt’altro che farina, a dare retta alla Guardia di Finanza. Tanto più che sono uno che c’ha la comicità nel sangue e che frequenta brutte compagnie sul modello Lorenzin, tanto per capire.
A questo punto posso confessarlo: ne infilo a raffica di battute da fare sbellicare, pure a comando (senza lucro, si capisce). E poi ho sempre roba buona da fumare. Woody per esempio (sì, proprio lui, quanto la fate difficile ragazzi, ormai mi conoscete) mi manda a dire, un paio d’anni fa, di passargli un’insalatiera di freddure per tirarsi su, dopo i fiaschi di quei suoi filmetti tipo “amore a Parigi” o “amore a Roma” o “amore non so in quale capitale europea vogliamo andare a fare un salto stavolta, facendo finta di girare un film”. Gli ho inviato un’insalatiera dell’erba del vicino, che è sempre la più verde, sicuro di aver colto il sottotesto del suo accorato appello.
Insomma ci siam capiti: sono uno splendido e inarrivabile umorista (forse uno degli ultimi di quelli seri rimasti nei paraggi) ma anche un onesto spacciatore un po’ all’antica (del tipo: non li fanno più come una volta).
Zerbino me lo dice sempre che c’ho il tocco magico da fuoriclasse, capace di spiazzare con la finta. Il tocco di un imperatore che trasforma in oro a ventiquattro carati tutto quel che sfiora.
Ancora aggiunge sempre un’altra cosa il mio Zerbino, a dire il vero. Dice che il mio unico problema, o almeno a suo parere senz’altro il più pressante, è che ogni tanto dovrei pure decidermi ad aprire quella porta, fare un passo avanti, entrare a casa e così lasciare respirare i suoi gioielli di famiglia. Che certo il suo mestiere è quel che l’è e lui, da amico, ci tiene molto a non farmelo pesare, ma i miei scarponi di montagna invece quelli pesano di brutto, insiste lui.
Sono uno splendido e inarrivabile umorista, forse uno degli ultimi di quelli seri rimasti nei paraggi.
E poi non è mica tanto salutare restare lì impalati per due ore, su un pianerottolo che sembra una convention di mulinelli e spifferi, cugini scemi della Bora. E poi, ancora, cosa penserà mai il vicinato?
Ma è tempo perso: lui parla e io rimango lì a immaginare tutte ste boiate e me le appunto pure, mentre lo fisso intensamente con i miei occhiali a specchio, dall’alto in basso, come un imbecille.