IL TACCUINO NERO (parte prima)
Il piccolo taccuino nero, con la strana etichetta geometrica sulla copertina. Tutto ciò che gli rimaneva di lei.
Era domenica e nemmeno suo padre osava svegliarlo. Verso mezzogiorno, si alzò e, come dopo ogni sabato sera, il rimbombo della musica continuava a percuotere il cervello. Aveva un gran mal di testa. Gli occhi infossati e socchiusi lo facevano sembrare malaticcio, tant’è che sua madre gemendo gli urlò: Che cosa è successo, Michel…?
Senza dire una parola si guardò allo specchio. I graffi e un livido sulla guancia riesumarono il ricordo del bisticcio furioso con Louis. Si sforzò di mettere a fuoco i ricordi ma gli vennero in mente solo idiozie: il tappo di una birra volato dal cavatappi, una macchia sulla camicia nuova, e urla… insulti…
Louis non aveva mai voluto rimuovere la nebbia delle sue origini. Sapeva soltanto di essere venuto dal mare. Restituito da una tempesta. Accolto da una famiglia di pescatori che abitava nella stessa palazzina di Michel. Giocavano insieme nel piccolo cortile di casa. Il bianco e il nero, così li chiamavano. Amicizia infantile che piano divenne legame profondo. Entrambi erano molto bravi a scuola e diversi, non solo per il colore della pelle. Non passava ora del giorno, che Michel non tirasse fuori dal magico cilindro, un piano di svago. Louis invece stava volentieri da solo, nel bar della piazza. Unici compagni, i suoi libri.
Sapeva soltanto di essere venuto dal mare, salvato da una tempesta.
Dopo colazione, Michel si sentì rinfrancato, forte e deciso. Non avrebbe atteso un minuto di più e tutto sarebbe tornato come prima. Accese il cellulare e chiamò. La voce dell’amico era intermittente e roca. Il cuore nel suo petto prese a battere più forte.
Come stai?
Male. Grazie. E tu?
Malissimo…
Sto uscendo, ci vediamo al bar.
Si vestì in fretta, salutò rapidamente sua madre che continuava a scrutare il suo viso. Aveva piovuto, e deboli raggi di luce illuminavano la strada generando riflessi giallastri. Percorse la strada con passo spedito. Inciampò sul marciapiede reso invisibile dalle foglie accumulate dal vento. Sentiva freddo e provava uno strano tremore. Sono nervoso! disse fra sé. Devo calmarmi!
Entrò spalancando la vetrata del locale. Davanti a un tavolino e una tazza di caffè, c’era Louis. Aveva i gomiti appoggiati sul tavolo e la testa nascosta fra le mani. Si avvicinò piano. Anche il suo amico aveva il viso segnato dai graffi, meno visibili sulla pelle scura. Louis sollevò gli occhi lentamente.
Vuoi un caffè?
Sì. Grazie.
Si alzò. Si avvicinò al bancone. Senza voltarsi, attese che il caffè fosse pronto. Prese la tazzina e lentamente ritornò al suo posto. Poggiò la tazza davanti a Michel che osservava ogni gesto, cercando di leggere nei suoi pensieri. Poi si fece forza.
Giocavano insieme nel piccolo cortile sotto casa. Il bianco e il nero, così li chiamavano. Amicizia infantile che piano divenne un legame profondo.
Louis, dobbiamo parlare seriamente noi due, oggi. Stiamo per compiere diciotto anni. Le nostre strade potrebbero dividersi. Potremmo fare altre conoscenze… Questo non vuol dire che non saremo più amici, no?
Louis non staccava lo sguardo dalla tazza del caffè ormai vuota e con le mani prese a farla girare vorticosamente sul piattino. Michel continuò a parlare di amici, genitori, compagni di scuola. Man mano il pensiero diveniva più lucido e deciso. Nessun cenno alla lite, solo un lungo preambolo che alla fine portò a Nicole. Provò a descrivere il sentimento che stava crescendo in lui, ma si fermò di botto, quando Louis, finalmente, alzò lo sguardo. I suoi occhi erano arrossati e lucidi. Stava piangendo!
Si guardarono in silenzio. Cercavano entrambi d’ingoiare la verità che li poneva di fronte a un problema insolubile.
Louis si alzò lentamente. Appoggiò dolcemente la mano sulla spalla dell’amico e, senza dire una parola, si avviò lentamente all’uscita. Michel avrebbe voluto fermarlo, ma riuscì solo a seguirlo con lo sguardo, finché lui si dileguò nella nebbia che aveva confuso ogni cosa, anche le sue granitiche certezze.
Doveva piegarsi agli eventi, come si accoglie un temporale. Ripensava a Louis. Il contrasto del bianco e del nero segnava il confine tra gioia e dolore, sogno e sconforto. Per la prima volta, nel procedere beato della vita, aveva provato il turbamento di essere davanti a un bivio. Il viso di Nicole e l’infanzia felice con Louis dondolavano nel cuore. Il dolce giocare nel giardino di casa, iniziò ad apparire perduto per sempre. Si sentiva al sicuro, considerando Nicole la sua donna oramai. Non riusciva però a sopportare l’idea del passato morto per sempre, insieme all’infanzia.
Riuscì solo a seguirlo con lo sguardo finché lui si dileguò nella nebbia che aveva confuso ogni cosa, anche le sue granitiche certezze.
Gli occhi neri e penetranti di lei emanavano una luce irreale. I capelli corvini coprivano parte del viso facendo risaltare la pelle vellutata e luminosa. Michel si sentiva attirato da ogni suo gesto. Parlava… parlava… e lei lo ascoltava in silenzio. Così gli sembrava. A lei rivelava i pensieri nascosti, illusioni e speranze che non sapeva di avere. Fuggire in paesi sconosciuti, vagare nel mondo, lontano dalla piccola città di provincia. Oltre il recinto. L’aria triste di Nicole stimolava la sua fantasia. Il miraggio di libertà, nei suoi silenzi, diveniva realtà.
Soltanto il tempo avrebbe donato un senso a verità mai comprese, alle apparenze di realtà sconosciute, custodite nelle pagine di un misterioso taccuino nero.