L’intagliatore Steiner
Questa è la storia di un limite. Non di un limite da superare, però; un limite superato ma mai vinto. Non è la storia di un orizzonte irraggiungibile nel cielo. È la storia di un’incredibile zavorra al volo.
Le storie che mi hanno raccontato le ho dimenticate quasi tutte. Quelle che ho letto non sono capace di ripeterle, del resto sarebbe inutile. Amo di più le storie che ho visto: un po’ sono anche mie. Come posso raccontare a voce le storie che ho visto? Mi viene più facile scriverle. E ciò sarebbe anche più utile.
Steiner l’intagliatore è stato il più grande saltatore sugli sci nella storia di questo sport. Superò tutti i record, eppure non vinse mai nulla. Ogni giuria che incontrò, con inesorabile indifferenza, lo squalificò a causa dei suoi salti troppo lunghi rispetto al limite di gara: due, cinque, persino dieci metri oltre qualsiasi record del mondo. Salti troppo lunghi.
Questa storia l’ho vista al televisore, anzi grazie ad un videoregistratore. Era un documentario di Herzog. Erano immagini estatiche.
Molti film sono freddi come documentari; questo documentario mi ha così profondamente coinvolto da spingermi a scrivere la storia di Steiner.
Perché poi? Non ci sono parole da aggiungere alle immagini del volo dei saltatori ripreso con la high-speed camera, e basterebbe questa banalità; né ci sono suggestioni più acute che la mente può ricevere oltre quelle dell’accompagnamento musicale, e anche questa è una citazione. La parola è proprio monca. Rimane, tuttavia, una possibilità non vana, e per me una speranza: che qualcuno non abbia visto questo documentario. Sarebbe un risultato se anche uno di questi, letta questa storia, la racconti ad altri o si metta alla ricerca della videocassetta, e questa non è retorica. Non c’è mediazione o giro di troppo nel mandare e rimandare nel tempo e per i luoghi più diversi storie coinvolgenti. Infondo i nostri ricordi si formano sulle parole che restano alla fine, la nostra memoria sulle immagini che alla fine non perdiamo.
Non c’è mediazione o giro di troppo nel mandare e rimandare nel tempo e per i luoghi più diversi storie coinvolgenti. In fondo i nostri ricordi si formano sulle parole che restano alla fine, la nostra memoria sulle immagini che alla fine non perdiamo.
Steiner aveva un sogno: che gli omologassero un record. Non gli riuscì. Nessuno record gli resistette, fuorché quello della giuria. Perciò pari all’estasi che provò nei suoi voli fu la delusione. A carriera finita tornò a concentrare tutta la sua energia nel suo lavoro di intagliatore: nel fissare il movimento in stilizzate figure di legno, con un segno e all’istante. Così dalla materia senza forma le sue mani e i suoi strumenti tagliavano l’aria e il vento.
Allo stesso modo la sua figura lanciata in volo dalla volontà e fermata in cielo dalla forza è stata fissata in tutta la sua bellezza da una telecamera. Chi sa dire cosa è il movimento: un volo di legno, una statua di Giacometti o il salto con gli sci di Steiner, quello vero, quello che non ho mai guardato?
Steiner fece il suo salto più bello a Oberstdorf, dal trampolino più alto del mondo.
“Devono abbassare la barra di partenza se vogliono una gara sicura”, andava ripetendo con apprensione nelle interviste.
“La giuria vuole il record a qualunque costo… Magari anche al costo della morte”, e si lasciò andare ad uno sfogo.
Steiner aveva paura: “Non riesco a seguire i salti degli altri… Altrimenti mi blocco. Sono molti gli atleti che cadono da una altezza così alta.”
Non c’era polemica nelle sue parole, c’era paura e sofferenza. E si trattava di interviste!
La giuria voleva il record, anche se un record regolare, e gli spettatori volevano lo spettacolo, anche con un po’ di suspense. Tutto, dunque, doveva avvenire entro un limite ben preciso, non quello stabilito dalla gara, in realtà, quello dell’ipocrisia e della mediocrità.
Steiner fece il primo salto. Cadde. Dieci metri oltre il primato del mondo, oltre il limite della gara. Pochi metri più in là e si sarebbe sfracellato contro il piano che delimitava l’area dei salti. Steiner subì persino una momentanea perdita della memoria. Tuttavia, quello non fu il suo ultimo salto.
Decise di saltare da una barra più bassa, vincendo le resistenze della giuria. Sarebbe partito da centodieci metri, e non dai regolamentari centocinquanta. Era come se un corridore scegliesse di partire più tardi o da una linea più arretrata rispetto agli altri atleti.
Adesso Steiner si sentiva sicuro. Era pronto a saltare di nuovo. Tutto sé stesso era concentrato in un unico punto di energia, come una delle sue sculture; gli sci erano ormai protesi del corpo. Steiner era pronto a volare.
Non so se la momentanea perdita di memoria subita nella caduta lo abbia aiutato, alleggerendolo della paura. Sta di fatto che Steiner compì il suo secondo salto privo di ogni vincolo terreno.
Si lanciò. La potenza dello slancio si accumulò nella contrazione della testa, in una pressione contro le tempie che sembrò eterna. Quindi il volo, a 144 Km orari. Steiner riuscì a chiudere la bocca, ad aprire gli occhi; soltanto le orecchie gli parvero insensibili, non potendo sentire altro che calore. Il corpo si protese in avanti fino a sfiorare con il petto le punte degli sci. Era in piedi nel cielo. Oltre ogni limite.
Anche questa volta, però, venne squalificato: al di là del limite di gara, troppo oltre il record omologabile.
Quello fu l’ultimo salto di Steiner.
“Dovrei riuscire a essere solo per non avere più paura” aveva confessato ad un giornalista dopo la caduta.
Nel suo ultimo salto Steiner era rimasto solo, lui e la sua libertà. Dopo quel volo, anche le sue statue di legno si sarebbero protese leggere verso il cielo, malgrado le loro solide basi. Era felice adesso.
Molte storie hanno raccontato lo sforzo vano degli uomini di superare i loro limiti. La storia di Steiner non è tra queste.