Santiago
Santiago, buen camino amiga mia.
Camminare, da sola. Sembra una frase semplice, un’attività normale. Esco di casa, cammino. Non ho compagnia. E neanche un preciso punto d’arrivo.
Questa mattina mi sono svegliata nella stanza di una pensione. L’ultimo percorso che ha avuto un punto di partenza e uno di arrivo è stato quello di ieri sera: ero in un aeroporto e sono arrivata qui.
Qualunque altro elemento è irrilevante, perchè oggi non sono più io. Sono sulla soglia della porta di una pensione e vado a camminare, da sola.
Oggi ho la sensazione che il metodo cambi. Ho uno zaino pesante in spalla e delle scarpe scomode ai piedi.Qualunque altro elemento è irrilevante, perchè oggi non sono più io. Sono sulla soglia della porta di una pensione e vado a camminare, da sola.
Dicono che il cammino sia lungo, per arrivare non so dove. Dicono che sia lungo in maniera diversa per ogni persona. E che stranamente questo dipenda da dove vogliamo andare. Non so come diamine ci sono finita dentro a questa follia. Posso affermare senza molti dubbi di essere una persona organizzata e previdente. So che ogni mattina vado al lavoro. So dove mi trovo e la mia macchina, io e il mio navigatore satellitare, sappiamo bene dove dobbiamo andare. Così ogni giorno.
Poi mi sveglio una mattina e sto in piedi a bere un cappuccino da sola, mentre con l’altra mano scorro le email del giorno e calcolo ogni millimetro della mia giornata, e ad un tratto mi sento persa. Persa. Mi gira la testa. Forse è il caldo, forse è quella consegna a cui ho lavorato senza sosta tutta la notte. Sono concentrata a vivere la mia vita. Ho studiato bene, ho trovato lavoro, esco ogni tanto la sera, bevo vino in maniera responsabile. Ho dei buoni amici e ricordi di cui non mi vergogno. Esco orgogliosamente a testa alta da due decenni circa di relazioni inutili, ma senza patemi.
A me non piacciono le rose. Dico davvero. Le trovo esagerate, barocche. Sopravvalutate.
Ora che ci penso, ho notato qualche crepa. Da qualche giorno andavo perdendo sicurezza. Alcune persone, sedute nello stesso mio treno, stavano scendendo ad ogni stazione. Matrimoni. Figli. Cambi esistenziali. E non voglio sembrare sufficiente, ma non mi è mai parso di aver bisogno di nessuna di quelle fermate. Ho detto, c’è un corso naturale, un binario, se dovrò scendere in qualche fermata lo capirò.
A me non piacciono le rose. Dico davvero. Le trovo esagerate, barocche. Sopravvalutate.
L’altro giorno leggevo una teoria. Dicono che forse ci sono multipli dimensioni della realtà, che in ogni dimensione c’è un mondo e che in ognuno di questi mondi c’è una versione di noi. Sono dimensioni diverse, ognuna ha la sua storia parallela. Vuoi vedere che tutto questo discorso c’entra con la storia che ti devi sorbire da sempre, riguardo alle decisioni di vita? Voglio dire, in ognuno di questi mondi esiste una me diversa dalle altre, parallela e quindi simile, ma divisa da qualche particolare differente, dalle scelte fatte, dalle persone incontrate, dalle idee maturate. Una mattina sto bevendo un cappuccino e scorrendo le email e mi ritrovo circondata, faccia a faccia con tutte le immagini di me che non sono io. C’è una me che ha preso una decisione apparentemente sbagliata, per esempio, oppure un’altra me che ha amato una storia inaspettata, un’altra che dopo due decenni di insuccessi amorosi ha deciso di chiudersi e non crederci più, un’altra ancora che crede in un dio diverso dal mio e se ne frega dei miei pregiudizi. Infine una me è lì, e somiglia senza tante storie a mia mamma.
Ero stata talmente impegnata sempre nel seguire una strada, che non avevo mai accolto niente di diverso.
Ero stata talmente impegnata sempre nel seguire una strada, che non avevo mai accolto niente di diverso. Non avevo guardato altri percorsi. Anzi spesso avevo avuto la presunzione di pensare di avere sempre le risposte giuste.
Le rette parallele si incontrano in un punto.
Credo che questo punto per me sia oggi, in questa pensione, con lo zaino, le scarpe scomode e con quel cammino riparatore davanti, da dove ci saluteremo per tornare in parallelo.
Un giorno stavo passeggiando per strada e mi sono fermata davanti ad un giardino. C’erano delle rose enormi. Il colore non era il classico rosso ma cremisi, anche un po’ più scure. Rimango ferma qualche minuto e si affaccia un tizio, mi chiede se voglio una delle sue rose. Dice che sono speciali. Ringrazio gentilmente, –“non mi piacciono le rose”. Lui risponde, –“aspetti un attimo”. Esce con delle forbici e me ne taglia una. Mi racconta che anche sua moglie non ama le rose. Viene da un paese straniero dove non se ne vedono di vere e non le piacciono. Come tante altre cose che non conosce e di cui diffida. Così un giorno lui trova questa varietà e la pianta. Le dice che non appena sbocceranno, il profumo nell’aria sarà delizioso. Mi porge la rosa e mi chiede di sentirne il profumo. È davvero il profumo più buono che abbia mai sentito in un fiore. Dico, –“grazie, sono davvero splendidi questi fiori”. Lui sorride e farfuglia qualcosa riguardo a sua moglie. Io continuo a camminare senza riuscire a smettere di guardare quella rosa.