George Harrison – My sweet lord
L’altro giorno stavo con un’amica a bere un caffè in un bar di periferia. Forse anche un poco più in là della periferia. A pensarci bene, c’erano più capannoni che case. Solitamente in prossimità dei centri artigianali i bar pompano decibel dalle radio commerciali come non ci fosse un domani e manco un perché. Ma l’altro giorno, per motivi che esulano dalla mia comprensione, le casse erano quasi del tutto chete. Eppure qualche nota per l’aria ondeggiava e non pareva manco male e se l’amica in questione non avesse iniziato una sua teoria sulla reincarnazione probabilmente l’avrei riconosciuta all’istante.
A parere della signorina, infatti, la vita è eterna e si rigenera di corpo in corpo ogni qual volta quello precedente diviene carcassa. Il che è già stato detto, ma lei ha aggiunto una sorta di contrappasso per cui la vita successiva ha caratteristiche diametralmente opposte a quella precedente.
Interessante, le ho detto mentre mischiavo il niente nella tazzina di caffè vuota. E poi ho guardato un camion parcheggiare a pochi metri dal nostro tavolo e ho pensato che tutto sommato non sarebbe mica male. Io, ad esempio, nella prossima vita non azzeccherei una h davanti ad una a e ignorerei il congiuntivo e poco altro, ma in compenso sarei una persona estroversa, saprei cogliere al volo le occasioni, sarei realizzato e tante altre cose contenute nella cartella privata dei fatti miei. Avrei pure i capelli lunghi. Insomma avrei di che guadagnarci, ho pensato.
Le ho chiesto se davvero ci credesse e lei mi ha risposto: perché no? Già, perché no. Se una cosa è bella, perché non crederci?
La fede, laica o religiosa che sia, è una cosa meravigliosa.
Ho pagato i caffè e davvero mi sono sentito un po’ stronzo. Infedele. Ingrato. Senza rispetto di me stesso. Nell’aria giravano le ultime note di My sweet lord di George Harrison.