Ho tamponato Dio a un incrocio
Ho tamponato Dio a un incrocio.
Veniva contromano, ma ha ragione lui.
Adesso lo so che è una cosa normale. Che è una storia che si ripete tutti i santi giorni, fatta eccezione per alcuni particolari irrilevanti. Ma io sono l’ultimo arrivato e allora questa cosa mi ha sconvolto: non mi era mai successa una bocciata simile.
Al Padreterno in risarcimento tutta la mia vita. Proposta ragionevole: non fa una piega.
Sentite un po’ come avremmo conciliato: al Padreterno in risarcimento tutta la mia vita (proposta ragionevole, non fa una piega). A me… a me non ho mica ben capito, in verità. Confabulava di avere un’assicurazione per questo tipo di incidenti, con ricchi premi e cotilons, che mi rifonderà dei danni a tempo debito.
Ma la parola debito, appena pronunciata, ha tinto di un livido sospetto il bernoccolo che mi ero procurato nello scontro.
Ci siamo salutati in un fiat (lux, disse, se non sbaglio), per liberare ingorgo e caos infernale susseguente.
Mi ha lasciato i suoi dati anagrafici, residenza e numero di telefono, ma devo dire che sembrava molto ferrato anche su quelli miei.
Dio vive in un postaccio, una periferia dell’anima.
Il Tipo lo conoscevo già, ovviamente, anche se solo di nome. Non avevo avuto ancora il piacere di incontrarlo di persona, come dicevo. Per questo mi sono messo ad indagare, per carità, senza voler nutrire dubbi preconcetti. Si tratta di prudenza, solo di precauzioni lecite. Perciò ho subito voluto interrogare gli amici degli amici (che sanno sempre tutto di ogni cosa) su reputazione e precedenti simili del Benedetto sopracitato.
Ne è venuta fuori una tale baraonda che, se mi metto adesso con l’orecchio teso, pare di sentirle ancora tutte quelle urla: che fastidio.
Ho scelto di non demordere, comunque.
Grazie a Dio, avevo l’indirizzo e mi sono presentato a casa sua nel fine settimana. Quello che segue è il succo superconcentrato delle mie scoperte.
Dio vive in un postaccio. Una periferia dell’anima, la chiamerebbero quelli con lo stomaco fatto di poesia.
A me, che sono terra terra e parlo semplice, sembrava che se la potesse passare meglio, viste le credenziali. Invece no. Brutto il quartiere, brutta la gente, brutto il palazzone di cemento senza intonaco al prospetto.
Grazie a Dio, avevo l’indirizzo e mi sono presentato a casa sua nel fine settimana.
Mi ha aperto subito, quasi non ho fatto in tempo a suonare al citofono. Mi ha offerto di sedermi a bere un tè – gentilissimo per carità – ma ho notato in Lui una strana tendenza a parlare di sé al plurale (disturbi di personalità multipla o solo leggera demenza senile, chissà). Il Tipo ha una famiglia allargata, a quanto pare. Sposato più volte, mai divorziato, da tempo vive da solo in compagnia di una vecchia colf che lo accudisce e cucina per Lui. I figli sono molti, a mio parere pure troppi.
Mi ha detto il numero preciso, ma non ricordo; era uno strano numero periodico, tra l’irrazionale e l’immaginario.
A un certo punto ho addirittura creduto che ce l’avesse con me.
Di sicuro non si fanno vivi a casa sua da chissà quanto, così ho interpetato una lamentela sussurratami dalla badante con un’espressione di rimprovero (a un certo punto ho addirittura creduto che ce l’avesse con me, tanto insisteva con quello sguardo, mi vengono i brividi al sopracciglio solo pensandoci, mannaggia).
Per farla ancora più breve: Dio è un vecchietto di buono spirito, ma un po’ andatello di capa (così all’apparenza). Ha una pensione sociale e un passato alle spalle molto vissuto, a mio parere pure troppo. Non ha la minima possibilità di rifondermi alcunché, bernoccolo compreso. Ma soprattutto ha una colf indelebile dalla memoria, mannaggia.
La prossima settimana mi sa che ci torno. Amen e così sia.