Un vasto orizzonte
Un giorno come tanti. Mara indugiava nella stanza col cellulare in mano. Un messaggio, un altro e un altro ancora. Il ticchettio dei tasti.
È incredibile come i ragazzi riescano a digitare parole con velocità supersonica, e c’è il T9. Non sono mai riuscita a usarlo o forse non ho mai voluto imparare. Le mie figlie dicono che sono una mamma tecnologica con inghippi mentali.
È vero. Ci sono cose che non sopporto. Non le imparerò mai.
– Mara è ora di sbrigarsi. Alzati!
– Ok mamy. Finisco questo… e mi vesto.
Sempre così nelle giornate in cui dovevamo uscire per acquisti: un jeans nuovo, un maglione, le calze, le scarpe e via di seguito, come sempre, all’inizio di ogni stagione.
Verso le undici, finalmente Mara era pronta… anche se, come il solito, molto annoiata. Nell’attesa, io avevo già spolverato, fatto il bucato e cucinato il pranzo. Quel volere guardare dall’alto e sporgersi oltre il cerchio chiuso che era la nostra vita.
Quella mattina ero insolitamente tranquilla . Strano, perché Mara riusciva a farmi andare fuori di senno, con i suoi ritmi sonnolenti e quell’aria indifferente alle cose ordinarie.
I miei pensieri erano altrove.
I mesi volavano. Mara avrebbe presto finito il liceo e poi… In famiglia, se ne parlava ormai da un po’. La sede universitaria da scegliere. La scelta caduta su un corso non presente in città. Il suo carattere estroverso, vulcanico. Il desiderio di partire. Non so cosa avesse avuto il peso maggiore, nella richiesta di studiare in un’altra città, addirittura in un’altra nazione.
Lei era la mia piccolina, e voleva lasciare cose, persone, un mondo che anch’io avevo contribuito a costruirle intorno, come un nido, con tanta cura.
Avevo, velatamente, cercato di convincerla a restare. In fondo, avrebbe potuto continuare gli studi in città.
In realtà, nascondevo dubbi opprimenti. Non sempre, in tale argomento, il mio sentire corrispondeva al dire o al mostrare.
Da poco avevo arredato la sua stanza, con tutto quello che lei desiderava. Non riuscivo ad accettare l’idea che tutto fosse sprecato, ignorato o poco apprezzato. Poi scacciavo dentro di me i cupi pensieri e il tempo passava. Sapevo che tutto o quasi tutto dipendeva anche da me. Avrei potuto impormi e, forse, avrei vinto.
Il dubbio allora s’insinuava nella mente come un tarlo e cercavo di vedere con gli occhi di mia figlia.
Mara osservava le cose e la gente come corpi ormai lontani, l’ordinario da chiudere dentro un cassetto. Forse vedeva anche me, in questo modo. Sognava il mai visto prima, il nuovo, l’inesplorato. Volava dentro un sogno di libertà ed io, nel mio piccolo universo di semplici cose quotidiane, non riuscivo più a governare quello spiegare le ali. Quel voler guardare dall’alto e sporgersi oltre il cerchio chiuso che era la nostra vita.
Non riuscivo a seguirla.
Era troppo per me.
Rimanevo in silenzio. Ascoltavo le sue parole.
Lei a volte riusciva ad aprirmi il cuore e descriveva progetti, fantasie, curiosità.
Per quanto volessi, era difficile gestire i suoi sogni.
Nel settembre dello stesso anno la mia piccola dolce creatura, mi lasciava. Avevo dentro un dolore sordo, uno smarrimento da cui rifuggivo.
Mara cercava di nascondere le sue inquietudini. I momenti di lieve malessere si dissolvevano nella leggerezza e nell’allegria dei suoi giovani anni.
Erano certo più grandi le mie paure e l’ansia nascosta per pudore dinnanzi al cambiamento della sua vita e della mia. Nel giorno del distacco, nessuna di noi due avrebbe vacillato di fronte a una scelta così a lungo meditata. Il dubbio s’insinuava nella mente come un tarlo e cercavo di vedere con gli occhi di mia figlia.
Non dimenticherò il suo sguardo, il sorriso e la piccola mano che salutava all’imbarco.
Il mio cuore martellava nel petto e la gola era stretta da un nodo. Riuscii solo a dire a me stessa:
Come hai potuto pensare di poter fare a meno di lei?
Avevo vinto contro ogni egoismo di madre, alla luce d’una razionalità che riuscivo a mala pena a ingoiare.
Sapevo che era giusto così, ma quell’istante pesò come un macigno sul cuore. Sentii un vuoto che non si sarebbe mai più colmato.
Qualche tempo dopo andai a trovarla.
La sua stanza era piccola, poco arredata, senza alcun oggetto che ricordasse casa nostra.
Guardai la libreria: la maggior parte dei libri era in lingua straniera.
C’era una foto attaccata alla parete. Era lei con alcuni colleghi e amici. Sorridendo mi elencò i loro paesi di origine. Erano tutti diversi, come il colore della loro pelle.
Il viso di Mara era sereno e gli occhi scintillavano di una luce che non avevo mai visto prima.
Durante il volo che mi riportava a casa, contemplai il cielo, il mare e l’arco del grande orizzonte sotto di me.
Tutto ciò che mia figlia aveva lasciato, non era che un piccolo punto sperduto… laggiù. Un punto privo di dimensioni, impalpabile, inconsistente.
La piccola parte di un mondo affascinante e vasto.