Stella e Morfeo
Anche quella sera Stella portava avanti la sua personale battaglia contro il sonno. Caffè caldo in mano, si era messa al portatile, per rispondere alla mail di un collega. Oppure per fare un ricerca su Google. O scaricare un paio di canzoni. O cercare un low cost per Londra: da quanto tempo aveva voglia di tornare a Camden a fare shopping compulsivo tra tutte quelle bancarelle?
Dopo un’ora spense, non le andava di stare al pc. Prese uno dei libri che stava leggendo, la Mazzantini, Nessuno si salva da solo. Niente, non era in vena di quel genere di lettura, stasera. Tanto, riferito a se stessa, chi l’avrebbe salvata mai? E poi si era sempre vista meglio come salvatrice che come salvata. Passò all’ultimo di Camilleri su Montalbano. Lesse due pagine, sorrise di gusto per una espressione squinternata di Catarella. Poi mise gli auricolari, si sparò un paio di canzoni. Mandò un messaggio a Enrico.
“Ciao, che fai? A me scoccia dormire, come al solito”. Appena inviato pensò che era una domanda idiota: cosa vuoi che faccia alle due del mattino uno sposato da un anno? Sarà a letto con la moglie e di certo casomai non le risponderà col tono da provolone che ha quando è fuori da solo.
Si chiese se avesse voglia di mangiare. No. Di bere. Forse, ma la birra era calda quindi ancora no, non la attirava nient’altro. Pensò di uscire ma era tardi, le sue amiche stavano sicuramente a letto, le bacchettone, e per locali non avrebbe trovato nessuno a quell’ora. Era in mille posti diversi, in quel preciso istante con la sua mente, ma in nessuno veramente, sensazione che conosceva bene e che la rendeva nervosa. Non voleva dormire, come ogni notte, e non trovava pace nella veglia, come ogni notte e ogni giorno.
Io sono pazza di vita, ho troppe cose da fare, troppi pensieri da pensare, troppe parole da dire o da scrivere, troppi demoni da combattere.
Improvvisamente, senza rendersene conto, Stella crollò. Sul divano, come tutti quelli che a letto non ci vanno mai in modo regolare. Apparve, dal nulla, uno strano barbuto signore di fronte a lei. Era abbastanza in là negli anni, indossava un mantello di colore indefinibile, forse scuro, aveva un aspetto a suo modo buffo. Sembrava sicuro di sé ma dall’aria dolce, delicata.
“Perché, mia cara, mi fai faticare sempre così tanto per fare breccia in te?”
“Chi è lei, scusi?”
“Ma come chi sono? Lo sai benissimo chi sono. E dammi del tu, piccola”.
“Ahhh, Morfeo. Sei tu. Quindi esisti. Non sei come Babbo Natale. Senti… niente di personale, sia chiaro, mi sembri anche simpatico, ma non ho bisogno di te. Mi fai sprecare tempo prezioso, sai. Io sono pazza di vita, ho troppe cose da fare, troppi pensieri da pensare, troppe parole da dire o da scrivere, troppi demoni da combattere. Dormire fa riposare, ok, ma io ho bisogno di stare sveglia. Ventiquattro ore mica son tante in un giorno, non posso sprecarne una parte in tua compagnia, nel non luogo e nell’inerzia del sonno, non credi?”
“Stella Stellina cara… tu pensi che la vita si viva meglio ubriacandosi? Con la leva dell’acceleratore sempre a tavoletta, giorno e notte, rincorrendo ogni attimo? Tu pensi di poter riempire tutti i tuoi vuoti riempendo ogni istante del tuo tempo così?”
“A volte non scelgo. Sono irrequieta. Sono fatta così, Morfeo, non mi lascio mai in pace.”
“Appunto, perciò ti servo io. Ti abbraccio, sai? Sono avvolgente, protettivo. Tu spingi sempre, senza nemmeno sapere verso dove o verso cosa. Hai bisogno di staccare. Di non pensare a nulla. Hai bisogno di oblio. Io ti prendo e ti porto con me in quella terra di nessuno, Stella. Il non luogo dove tutti abbiamo bisogno di planare per un po’ del nostro tempo, per poi vivere meglio quando da sveglia sceglierai dove vuoi davvero essere. Luoghi reali, non allucinazioni notturne. Non ti perderai, tranquilla. Al contrario, quando ti riporterò indietro, con la luce del giorno e un buon caffè fumante, ti sentirai ritrovata. Vieni via con me”.
Stella si preparava a controbattere, non voleva dargliela vinta, ma intanto non vedeva più l’omone barbuto, sentiva solo la sua voce flebile, in lontananza. Dovette ammettere che il barbuto ci sapeva fare; forse per questo, ogni sera, mentre lei restava sveglia, tutti invocavano il suo abbraccio. Era costui, dunque, il benedetto Morfeo tanto gettonato. Magari era un incantatore, un seduttore seriale un po’ più sapiente e raffinato di altri, un vecchio mandrillo che dietro quell’aspetto rassicurante da bravo nonnino, volava di letto in letto a portare le fanciulle in questa sconosciuta terra dell’oblio.
Sono irrequieta. Sono fatta così, Morfeo, non mi lascio mai in pace.
La mattina seguente era davanti alla sua caffettiera e tentava di ricordare il sogno della notte. Aveva strane immagini di anziani barbuti, di oblio, di benessere, ma non ricordava i particolari. Sorrise. In fondo, la giornata sembrava cominciare bene e lei era, finalmente, rilassata.
Le prime due foto nel corpo del testo sono di Erika Sichera. Le altre e quella di copertina sono tratte dal web