La bella estate
Gina era divenuta adulta dentro una estate che non sarebbe arrivata mai. Almeno non come lei la immaginava e la intendeva.
Non c’erano specchi, una casa di provincia che provincia non era. Aveva percorso viali, (e le vetrine erano state gli specchi che non poteva permettersi), strade in quartieri geometricamente perfetti, bevuto caffè che non le piacevano e aveva baciato una donna. No, era stata baciata. Si era spogliata invece dinanzi un uomo, e allora la comprensione della propria inadeguatezza aveva avuto il sopravvento.
Era rimasta in bilico tra una età e la speranza che l’essere adulti fosse la soluzione, in realtà dal precipizio bisognava osservare il fondo, ma quel raggio di sole che entrava dalla finestra sporca aveva ravvivato il biondo dei suoi capelli e la speranza.
Era quella la vera estate, la pelle che rabbrividiva e la peluria del corpo che si rizzava e intanto si lasciava vivere, come un insetto dentro un barattolo di vetro, una foglia da schiacciare, il nocciolo di un frutto acerbo. Era quella la vera estate, la pelle che rabbrividiva e la peluria del corpo che si rizzava e intanto si lasciava vivere, come un insetto dentro un barattolo di vetro, una foglia da schiacciare, il nocciolo di un frutto acerbo
Non poteva confidare a nessuno il suo turbamento. Sua madre aveva deciso di morire, non aveva atteso che lei crescesse, Gina era rimasta con un uomo che era un fratello e un figlio, al quale importava soltanto che il piatto fosse sul tavolo e il colletto pulito. Dove l’aveva condotta la sua ricerca di gambe velate da calze che soldi per comprarle non ce n’erano? Nel letto di uomo che a lui di lei non importava nulla, che era una come tante, solo più triste. Un passaggio necessario. Ma necessario davvero? E quella era davvero la bella estate? Come poteva accadere se in bocca aveva la neve e il sapore di un uomo che rideva di lei, che non sapeva nulla di lei. Sedici anni, lo stesso vestito e amiche che amiche non erano e stagioni peggiori di un tradimento perché ti coglie il gelo mentre aspetti l’estate.
Ciao Gina andiamo a prendere un caffè.
Si, andiamo.
Ho fatto l’amore con lui.
Ciao Gina andiamo a prendere un caffè.
Si, andiamo.
Ho fatto l’amore con lui
L’altra la guardava da sopra la tazza con le ciglia velate dal fumo del caffè, aveva atteso.
Piangevo. Mi sentivo strana. Andava fatto anche se non sapevo cosa.
Andava fatto, ripeté l’altra. Posava la tazza e la guardava, che lei già lo sapeva cosa fossero il disincanto e la distrazione di un uomo.
Bevi il tuo caffè, bevilo amaro.
Quando sono tornata a trovarlo dopo qualche giorno, lui non c’era, la stanza era vuota, il letto dietro la tenda era sfatto. E il suo amico non ha detto nulla.
Anzi mentre scendevo le scale di corsa mi ha urlato dietro: tu sei più bella.
Avrei voluto cadere da quelle scale, strapparmi ancora i vestiti di dosso, in realtà volevo pulirmi dalla sensazione di averlo fatto ridere di me.
No, Gina, non ridono di noi, ridono della loro vita, delle loro conquiste, di questa stagione che li rende euforici, della loro forza e della nostra debolezza, ma non gli importa davvero, non si rendono conto.
Ecco adesso sai che la nostra leggerezza ha un peso specifico insospettabile, che loro riescono a sollevarti con la stessa indifferenza con cui ci lasciano nude su un letto senza neppure una briciola.
Metti lo zucchero sotto la lingua adesso, fuori fa caldo, questa stagione dà il capogiro.
Andiamo.