Libere di amare-odiare lo short e il costume da bagno
Eviterò accuratamente di star qui a dire l’ennesima opinione sul dibattito da spiaggia – in ogni senso – che sta prendendo piede. Eviterò di soffermarmi sulla sorpresa con cui ho accolto il parere di alcuni nomi noti di un certo femminismo moralista in merito alla questione. Eviterò di indignarmi su quanto si stia ricavando la bufera dal nulla.
Sono quella delle soluzioni facili, io, quella delle azioni concrete e della silenziosa normalizzazione.
Io sono quella che si rifiuta spesso e volentieri di indossare bikini scosciati e che preferisce un ortodosso pantaloncino da nuoto. Ma sono anche quella che, in casa con quattro ragazzi, accetta il loro torso nudo soltanto a patto che non ci siano sorrisini se l’unica donna gira in reggiseno. Sono quella che per anni ha evitato come la morte i pantaloncini, per un più o meno motivato imbarazzo connaturato, ma che adesso si gode le passeggiate per cercarne uno comodo e colorato fra vie piene di negozi e banchi del mercato. Proprio mentre da queste parti ci sono donne che criticano donne che indossano pantaloncini. Magari sono le stesse che criticano la televisione egiziana per la scelta di licenziare le giornaliste e le presentatrici giudicate troppo grosse, magari.
Che poi consiglio un corso di meditazione livello zero a chi riesce a criticare contemporaneamente la nudità di una parte di donne e l’esagerata copertura del corpo di altre.
Sono quella che non si aggrappa a chissà quali teorie astratte, quella che non ha nessunissima intenzione di aggredire nessunissimo uomo per la fantomatica colpa di essere nato con un pene. Sono quella che tira un sospiro di sollievo quando riesce a convincere amici uomini del fatto che può tornare a casa la sera da sola, a piedi. Sono quella che però, se piove o fa freddo o se vuole semplicemente fare ancora due chiacchiere amicali, accetta volentieri uno strappo in macchina. Sono quella a cui piace la gratuità nelle relazioni, quella che rimpiazzerebbe volentieri il termine troppo connotato di “galanteria” con un più generico e non impegnativo “fascino” o “gentilezza”. O forse è il caso di inventare una parola nuova. Non sono una fanatica del neologismo per forza, ma credo che quando una parola è molto connotata ce ne possa essere bisogno.
La galanteria è quella dell’uomo che deve conquistare la donna, che la considera sua proprietà e soltanto come tale la protegge. Come una macchina per la quale si spende tantissimo, spinti da mille sogni di corse a duecento chilometri all’ora, un’auto che si ripara una, due, tre volte, ma che inevitabilmente va a finire allo sfascio. Fra due uomini , ma soprattutto fra due donne, non viene da usare il termine galanteria. “Una donna galante” suona strano. Per questo le cose sono due: o si comincia ad usare l’aggettivo in maniera più espansiva, o se ne inventa uno nuovo che includa tutte le caratteristiche di quello esistente, fatta eccezione per la subordinazione della donna all’uomo che si sottintende. Che poi è anche, più in generale, uno svilimento, una protezione paterna legata al tempo in cui la vita di una donna era segnata da un unico grande cambio di padrone: si lasciava il padre per appartenere al marito, e ci sono posti nel mondo in cui è ancora così.
Sono quella che parte dal piccolo, dall’infinitesimale, e che crede che se ognuno praticasse ciò che predica, anche nella più abitudinaria quotidianità, allora le cose cambierebbero non poco.
Proprio perché tendo a lavorare nel piccolo ma con continuità, come le formiche, chiedo alla società una cosa semplicissima: di lasciarmi libera di mandare avanti la mia rivoluzione di routine.
Detto in altre parole: non vorrei mai che mi si impedisse di indossare i miei pantaloncini al mare, né vorrei tantomeno che mi si obbligasse ad indossare la maglietta in casa mia con 35 gradi mentre quattro baldi giovini mi sfilano affianco con il torso nudo.
Non chiedo molto. A volte è assurdo come si vogliano cercare cavilli in quelle che invece sono quasi ovvietà.
Non volevo parlare di burkini eppure l’ho fatto, anche senza citarli fino a un attimo fa. Ma sono solo chiacchiere da spiaggia, queste della mia oziosa rubrica settimanale, e noi comuni mortali possiamo concederci anche il pettegolezzo da ombrellone e le disquisizioni da bar. Ma che questo pettegolezzo raggiunga le dimensioni di un dibattito politico internazionale, no grazie.
In allegato nell’articolo: un interessante video di Huffington Post che senza volerlo supporta il mio pensiero antimachista prima ancora che femminista, e una vignetta simpatica assai, per rendere questa paginetta un articolo da rotocalco estivo rispettabile e degno di questa definizione.
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