Agosto in Padania
Me ne sto a passeggio per un corso cittadino e se non fosse che nel dizionario padano agosto ha il significato di diaspora, quasi mi assale il dubbio che nella notte una nube radioattiva abbia appoggiato i suoi neutroni sui tetti di Parma ed io, unico coglione dell’ex ducato, mi aggiro ignaro per la Chernobyl del nuovo millennio. Ma poi adocchio un paio di spacciatori che scrollano la testa e alcuni turisti smarriti che penzolano disperati il capo a tondo. Nessuna minaccia nucleare, quindi. Solamente che in città non c’è anima viva.
Una passeggiata in centro a metà agosto è frustrante. Spacciatori disoccupati e turisti disperati davanti alle saracinesche dei bar. Tra i sampietrini roventi del corso emergono decine di rotelline, ricordo della Parigi-Roubaix
Nessuna minaccia nucleare, quindi. Solamente che in città non c’è anima viva
Eppure ad agosto qualcuno in città rimane, penso. Ma poi mi sovviene l’idea che se quel qualcuno è in città non vi è certo per controllare quando torna dalle ferie il fornaio, ma per lavorare. Se avessi tanto tempo non sarei di certo qui nemmeno io. Se avessi un pochino di tempo in più, del tipo l’intera mattinata, potrei fare qualcosa. Fingere di divertirmi.
Potrei andare in piscina. Lì qualche esemplare umano lo troverei di sicuro. Potrei trovarmi un cantuccio tra i ragazzini latinos dal ventre piatto e il berretto con visiera a prova di livella e i ragazzini neri con le mutande in bella vista sotto il costume e le cuffie, non da nuoto bensì da musica, saldate al collo. Potrei invitarmi nel selfie di due piacenti cassiere del Conad in day off. Potrei ascoltare due infermiere non più piacenti ma con le unghie britanniche sputtanare tutto il reparto di ortopedia. Ma potrei anche rischiare di mettere il piede sul nocciolo di pesca sputato dal rampollo di una famiglia lucana dedita alla costruzione di piccole palazzine. Meglio di no.
Potrei costeggiare i capannoni di attività industriali ancora in ferie dall’agosto di due anni fa, superare trattori colmi di pomodori, dare un passaggio ai ghanesi che quei pomodori raccolgono e andare al fiume nei pressi della prima collina disponibile. Ma le colline in Padania sono cementificate. Se la collina è bella c’ha messo su casa il direttore commerciale di una azienda metalmeccanica. Poi magari non ci va mai, ma fa niente. Se è brutta c’è una serie di condomini e ville a schiera. Alveari, ma pur sempre in collina. E poi ci sono le aziendine abbastanza agro ma ancora poco bio, i gommisti dove si paga un treno di gomme meno che in città. Ti avvicini al letto del fiume e i pesci ti guardano e dicono: che cazzo fai coglione? prova a mettere un piede nell’acqua e ti attacco la dermatite. E pure il tifo, che mi sono svegliato male.
Insomma me ne sono rimasto lì in centro città in attesa del niente. La città padana in estate è una locomotiva ferma in stazione. Carica di carbone, ma ferma. Un cinese si affaccia da un negozio di trolley e bigiotteria usa e getta. Mi guarda e sorride.
Loro non chiudono mai. Nemmeno a metà agosto.
Qualcuno il carbone lo deve pur spalare.