L’ape operaia
L’immagine la perseguitava ancora a distanza di giorni, un insetto, come un’ape operaia che le ronzasse per la testa. La figura si era fissata sulla retina.
L’ascensore del sovrappasso era spesso guasto, non quel mattino. Non oggi. La donna arrivata subito dopo aveva pigiato ripetutamente il tasto di chiamata.
” Già prenotato, arriva.”
Lo aveva detto con un tono seccato, intriso di un pizzico di compatimento. L’altra la aveva ignorata e continuato a pigiare.
Non una parola. Sul volto grandi occhiali scuri da ape e l’atteggiamento da regina.
Non una parola. Sul volto grandi occhiali scuri da ape e l’atteggiamento da regina. Si era piazzata dinanzi la porta ed era entrata per prima come se non ci fosse nessun altro, poi aveva atteso che fosse l’altra a premere il tasto di salita, continuando a tacere. L’altra, piccola con delle braccia ben tornite e un volto aperto e franco, un’operaia, per un istante aveva esitato, aveva pensato di rimanere immobile, che lo premesse lei il pulsante dato che le piaceva tanto.
“E’ solo una matta.” e aveva schiacciato la T.
Dai vetri luridi, la lunga strada che spaccava la città in due come una ferita, rimpiccioliva.
La corsia del tram un’altra cicatrice inutile, perché la città continui a ferirla e menti quando dici che l’ami.
In ascensore si diviene ancora più estranei se è possibile, lo spazio non concede nulla, guardare in direzioni opposte o gli altri di sottecchi, ignorarsi, consapevoli di non potersi sottrarre.
L’operaia si era chiesta cosa nascondesse l’ape sotto quegli occhiali. A quale alveare appartenesse.
L’operaia si era chiesta cosa nascondesse l’ape sotto quegli occhiali. A quale alveare appartenesse. Sentiva un fastidio epidermico, osservava l’abito dozzinale abbottonato sul davanti e lungo fino ai polpacci, lo indossava come se si fosse trattato di ben altro, i capelli legati in una coda anonima. Il pungiglione velenoso c’era, ben nascosto. Ma c’era.
Le lasciò il passo sebbene toccasse a lei uscire per prima. Poco male l’avrebbe guardata di spalle, l’andatura, le scarpe; incuriosita da una sconosciuta e dalla sua arroganza, l’altra aveva allungato il passo per raggiungere l’ascensore alla fine del tunnel e l’esterno. Quando l’operaia l’aveva vista infilarsi nel secondo ascensore aveva preso le scale. Si era soffermata sul pianerottolo della prima rampa e non aveva resistito, l’aveva guardata, era un richiamo ipnotico. La regina era sola, ferma al centro della cabina, una figura scomposta dallo sporco sui vetri , pulivano raramente, che lei ricordasse non aveva mai visto nessuno fare le pulizie. Alla fine della seconda rampa sentì un clangore metallico, appena una frazione di secondo. Un tac secco, l’ascensore si era fermato. Si era bloccata anche lei. Si erano guardate per un lungo istante, poi la regina aveva cominciato a pigiare furiosamente sulla pulsantiera, la mano libera la aveva portata alla gola. All’operaia aveva ricordato un pesce in un acquario asciutto e lercio. Non si mosse, non si preoccupò, continuò a scendere per le scale.
L’allarme, lo avrebbero sentito suonare di lì a poco e l’uomo che stava spesso sul tetto della cabina sarebbe accorso, con la sua tuta da operaio specializzato. La cabina, (se quella avesse smesso di pigiare), sarebbe arrivata al piano, l’operaia conosceva le istruzioni a memoria, ogni santo giorno aveva modo di leggere la targhetta metallica e il numero da chiamare.
Sarebbe rimasta ancora, voleva guardarla perdere la compostezza, la rigidità innaturale, magari avrebbe tolto gli occhiali, no, li aveva tenuti su, una regina soffre, ma mai per intero.
Un’operaia crede di aver vinto, ma sono strappi così piccoli che non se ne avvede nessuno.
Un’operaia crede di aver vinto, ma sono strappi così piccoli che non se ne avvede nessuno.
Qualcuno aveva vuotato il cestino della spazzatura dietro le scale, e un cane non era riuscito a trattenerla, le sembrava la cosa più oscena che avesse visto.
Era uscita fuori. La strada di ogni giorno, dove il solito ambulante vendeva la frutta e guardava le donne, lei rispondeva ugualmente al suo buongiorno, disprezzandolo.
Un bar senza aria condizionata aveva chiuso perché il tram aveva tagliato le gambe a più di un commerciante.
Se tutto fosse andato come sempre, ben oltre il tramonto, sarebbe tornata all’alveare.