Lolita non abita più qui (Secondo Capitolo)
Erano trascorsi tre anni dal giorno in cui aveva incontrato Lolita.
Michael aveva preso in affitto un monolocale ad Harlem; il proprietario era un turco con precedenti penali che lo aveva preso in simpatia.
“La prima cosa che ho fatto quando ho comprato casa è stato mettere le sbarre alle finestre. Dopo una vita trascorsa in carcere, non saprei vivere diversamente.”
Michael non la pensava allo stesso modo, ma per i primi tempi poteva andare bene.
Di giorno lavorava come trasportatore, e la notte spendeva ciò che guadagnava nel gioco d’azzardo, tra fiumi di alcol e puttane.
La sua preferita era Naja, una ragazza messicana che faceva il croupier in una bisca clandestina nel retrobottega di un bar. A volte lo lasciava vincere e poi lo seguiva ai piani di sopra e facevano l’amore.
Naja era arrivata negli Stati Uniti su un camion di disperati che cercavano di attraversare il confine. Era stata violentata e picchiata, ma era sopravvissuta, perché la Santa del suo paese l’aveva protetta. Se l’era portata appresso dentro una medaglietta che portava al collo, ed era l’unica cosa che non si toglieva mai perché aveva paura che la morte potesse prenderla.
Si distendeva nuda sul letto e lasciava che Michael attraversasse il suo corpo con le mani e la lingua tracciando linee e curve, e insieme viaggiavano lontano dalle miserie delle loro vite avvinti l’uno all’altra come una pianta di edera.
Dopo l’amore, restavano distesi senza toccarsi, come due isole che condividono lo stesso mare, ma non si sfiorano. Era il momento delle confidenze che li univano molto di più dell’amplesso. Michael fu il primo a cominciare.
“Quando ero piccolo, vivevo nel South Dakota, a Black Hills. Mio padre era un boscaiolo e non avevamo una casa. Ogni volta che c’era da tagliare alberi, gli uomini fabbricavano una capanna e si restava fino a che il lavoro non era finito.”
Naja gli disse che c’era stato un omicidio quel giorno. Un tale era stato ammazzato nel vicolo con diverse coltellate.
“Harlem non è un buon posto per vivere” aggiunse. “Se non fossi una clandestina, avrei trovato un posto a New York. Non voglio finire come quel Bufalo.”
Bufalo. Michael lo aveva conosciuto in carcere: era uno dei peggiori, un violento, una carogna. Non gli importava che qualcuno lo avesse tolto dal mondo, ma cosa ne sarebbe stato di sua figlia?
Si alzò e raggiunse la finestra, la notte aveva acceso i palazzi che sembravano scheletri d’argento. Da qualche parte c’era Lolita che piangeva la morte del padre e il pensiero gli era insopportabile.
Lolita o comunque si chiamasse, era la prima persona che aveva visto appena uscito di prigione. La prima che gli avesse rivolto una parola e un sorriso dopo lungo tempo. Cose come queste non si dimenticano.
Naja lo raggiunse e cercò il suo abbraccio; la luce della luna giocava con la medaglietta della Santa in mezzo ai seni con le aureole scure.
Michael le accarezzò i capelli, ma pensava ad altro.
Pensava a Lolita.