Lolita non abita più qui
Quando Michael uscì di galera, Lolita era lì.
Naturalmente non si chiamava Lolita, ma quando la vide sotto la pioggia battente con quel vestito leggero, le venne in mente il libro di Nabokov.
Avrà avuto sì e no quindici anni, il viso minuto, le trecce tinte con colori accesi fermate sopra la testa con le forcine. Era seduta su un sasso e osservava la facciata incolore della prigione.
Michael si voltò e per la prima volta guardò le finestre con le sbarre dal di fuori. Gli fece un effetto strano: era come se il suo corpo fosse rimasto lì e la sua anima scivolata in strada. Lolita si alzò e sistemò la gonna zuppa di pioggia sulle gambe esili, poi strusciò le scarpe da ginnastica sull’erba per togliere il fango.
“Bentornato nel regno dei vivi”, disse controllando la suola delle scarpe, per vedere se erano pulite.
Michael non rispose, non sapeva cosa dire a una ragazzina. Del resto non aveva avuto figli e di certo la fidanzata di allora si era rifatta una vita. Nei dieci anni che aveva trascorso in prigione, Anita non lo aveva mai cercato e non aveva risposto alle sue lettere. Il giorno del processo, quando il giudice aveva emesso la condanna per rapina a mano armata, lei lo aveva guardato con orrore, poi lo aveva cancellato dalla sua vita e la vita si era dimenticata di lui.
La pioggia era calda e spessa come una cortina. Lolita si avvicinò e guardò la busta di plastica che l’uomo stringeva tra le mani.
Cosa c’è lì dentro?, chiese.
Ciò che resta della mia vita precedente, rispose Michael con la voce un po’ roca.
Lolita alzò lo sguardo, aveva le ciglia scure e folte.
Non so cosa tu ci faccia qui, ma questo non è il posto adatto per una ragazzina, disse Michael.
Aveva immaginato molte volte il giorno in cui sarebbe uscito; sperava ci fosse il sole e magari uno dei vecchi amici ad accoglierlo con una birra fresca e la promessa di una notte malandrina in qualche Night Club della zona.
Finalmente la pioggia cessò e Michael tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla busta di plastica e ne accese una. Il fumo si disperse nell’aria e si mischiò all’odore dell’erba e della terra bagnata.
lei lo aveva guardato con orrore, poi lo aveva cancellato dalla sua vita e la vita si era dimenticata di lui.
Voglio notizie di mio padre, rispose la ragazzina. Mamma non vuole vederlo, ma io non rinuncio a lui! Si chiama Stephen. Stephen Dwain.
Michael lo conosceva bene, lo chiamavano “Bufalo” perché picchiava duro e si era fatto una certa fama all’interno del carcere. Era un balordo, uno che aggrediva i deboli e leccava il culo ai Boss. Non sapeva che avesse una figlia.
Lei era lì, non ancora donna ma già bella, pericolo tra i pericoli. Michael era un campione nel distruggere i sogni, ma era arrivato il momento di cambiare.
Tuo padre è un brav’uomo, conserva la tua fotografia e ti augura il meglio, disse.
Lolita sorrise, le fossette sulle guance la facevano sembrare una bambina.
Michael riprese la sua strada, si sentiva leggero come non gli capitava da tempo.