Se io fossi un riccio (da amare)
Vorrei chiarire le cose.
Questa non è una dissertazione sulla frase: chiudersi a riccio.
Non è un saggio sull’Eleganza del riccio.
Non ho gli aculei (a volte solo quelli verbali, ma sto cercando di controllarmi).
Innanzitutto parlo dei ricci di mare, ma potrei parlare benissimo anche di quelli di terra.
Se io fossi un riccio che abita nel mare tra le isole Egadi mi chiederei una cosa (e non voglio entrare in polemiche sul fatto che un riccio possa pensare, andiamo, un po’ di immaginazione): tu, chiunque tu sia, che sei venuto l’altra mattina a trovarmi a casa mia, perché ti sei sentito in diritto di prendermi e prendere altri miei connazionali senza ritegno? Non hai preso un riccio solo (e già solo sull’uno avrei di fatto pensato ciò che sto per pensare), ne hai arraffati fin quanti ne hai potuto. Tutti.
Li hai portati nella tua barchetta a benzina senza spegnere il motore per assicurarti di lasciare una scia, non sia mai che tu perda la via del ritorno.
Mi sono trovato impigliato nella rete accanto alle lumache di mare, con le conchiglie, con la sabbia delle spiagge che hai visitato.
Hai fatto le foto. E anche se sono solo un riccio, so che le hai postate su Instagram. C’erano le tue belle manine e un cesto, pieni di questi tesori, avevi anche scritto (con quanta ironia) #laricchezzadelmareacasamia. E poi ci hai mangiato. Fine.
Potrei essere un riccio quindi, ma anche una lumaca di mare, una conchiglia oppure un granchio.
Fai tu.
Potrei essere un riccio quindi, ma anche una lumaca di mare, una conchiglia oppure un granchio.
Fai tu.
L’autrice di questa rubrica non è vegana, né vegetariana.
Non è un discorso sul cibo che mangi.
La parola della quale vorrei discutere oggi è: impronta.
Ci siamo mai chiesti qual è il peso della nostra impronta nel mondo? Quante scie lasciamo al nostro passo (di spazzatura, di brutti ricordi, di risentimenti, di giudizi)? Quanto vogliamo accumulare, perché non ci basta mai niente? Non ne abbiamo mai abbastanza. Di ricci, di bottiglie di plastica, di magliette, di tupperware, di cuscini, di candele Ikea, di bagnoschiuma, di creme idratanti, di like, di selfie. Di tutto.
Mai abbastanza.
Ho finito da poco di leggere un libro, si chiama Solo bagaglio a mano ed è di Gabriele Romagnoli. In questo libro, lo scrittore propone un’idea: una rivoluzione! Vi chiederete, in cosa consiste? La chiamerei la rivoluzione della leggerezza.
La chiamerei la rivoluzione della leggerezza.
Smettere di riempire all’infinito, per lo più di cose inutili, quel trolley gigantesco che ci trasciniamo per la vita, con stanchezza e con caparbia indifferenza, solo per la sicurezza che avere tutto ci dà. Un bagaglio a mano, ecco di cosa abbiamo veramente bisogno. In cui sistemare serenamente ciò che davvero conta, ciò di cui davvero necessitiamo.
Se ci pensate è un concetto interessante. Siamo disposti a ridurlo? Siamo disposti a rinunciare alle sessanta magliettine da 5 euro che abbiamo nel nostro armadio? A ridurre la nostra bulimia di informazione fasulla su internet? A ridurre lo spreco continuo di cose, energie e parole? E non è una questione soltanto materiale.
Prendete anche l’ultimo cd di Niccolò Fabi Una somma di piccole cose. Potrebbe tranquillamente essere il manifesto di questo movimento. Alleggeriamo i toni. Abbassiamo la voce. Limitiamo l’aggressività.
Alleggeriamo i toni. Abbassiamo il tono della voce. Limitiamo l’aggressività.
Lasciamo i ricci di Marettimo tranquilli. Non dico di non mangiare la pasta coi ricci ogni tanto al ristorante, ma per quel giorno sediamoci un attimo in barca coi nostri pensieri, abbracciamo l’altra persona che è con noi. Guardiamo quel quadro bellissimo senza intaccarlo.
Non facciamoci tutte quelle foto inespressive. Non prendiamo quelle conchiglie. Per una volta camminiamo con rispetto nell’ecosistema. In punta di piedi. Non rispondiamo istintivamente a quella provocazione. Non commentiamo tutto e tutti senza sapere niente. Non giudichiamo. Non buttiamo tutto quel cibo.
“Per ogni tipo di viaggio
È meglio avere un bagaglio leggero.
Distendo le vene
E apro piano le mani
Cerco di non trattenere più nulla
Lascio tutto fluire
L’aria dal naso arriva ai polmoni
Le palpitazioni tornano battiti
La testa torna al suo peso normale
La salvezza non si controlla…
Vince chi molla.
Vince chi molla…”
(N. Fabi – Vince chi molla)