La bimba sullo scalino
La bimba è seduta sullo scalino della porta di casa. Avrà una decina di anni. Da qualche tempo la vedo spesso, sempre seduta lì, con in mano una bambola di stoffa tipo Pigotta, quelle che l’Unicef mette in vendita per raccogliere fondi. Le bambole di una volta, quelle fatte in casa, con materiale povero e riciclato: uno scampolo di stoffa, un merletto avanzato dal corredo, rimasugli di lana colorata per i capelli, tanta fantasia per inventare, una bella dose di maestria nel cucire ed ecco il giocattolo più prezioso, perché unico.
Sembra strano vedere ora in mano a una bambina una bambola come questa. Mi chiedo anzi se le bambine giochino ancora con le bambole, di questi tempi, o se anche loro, come i maschietti, come gli adulti, sono prese dal vortice virtuale di giochi rimbecillenti, tipo la caccia ai Pokemon.
La bimba sullo scalino è quasi sempre seria, di certo sempre sola e tiene in braccio la bambola come se fosse un neonato vero, con un’abilità materna che fa un po’ impressione. Sta semplicemente seduta là e osserva quello che le sta intorno.
Anche io facevo come lei, più o meno alla sua età. Non avevo bambole in mano, ma amavo guardare ciò che succedeva in strada.
Inconsciamente le sorrido da dietro la finestra, anche se so che non mi vede. Osservando lei mi ritrovo a chiedermi cosa pensasse di me la gente che allora mi vedeva seduta fuori di casa: io non ci pensavo, ma ora che sono finita dall’altra parte sono proprio curiosa. Forse qualcuno avrà commentato, tra sé o a chi gli stava vicino: “ Guarda che strana quella bambina!”.
Però sono convinta che per lo più nessuno ci avrà fatto caso. I bambini sono spesso invisibili.
I giorni si rincorrono, in un’estate bollente, dolente e affannata. La bimba si siede tutti i tardi pomeriggi sullo scalino. È un appuntamento fisso quello che ho con lei, che è un po’ la mia parte bambina di molti anni fa. Chissà cosa pensa, osservando la gente. Si chiederà se dietro ogni volto c’è una storia, come me lo chiedevo io? O è ancora troppo piccola per una riflessione profonda?
Ma che ne sappiamo noi di cosa pensano i bambini?
I bambini, l’ho già detto, spesso sono trasparenti per gli adulti. Anime evanescenti come fantasmi. Ectoplasmi senza diritto di pensiero. Gioca bambino e stai buono, non disturbare.
Sì, ricevono giochi, attenzioni a volte soffocanti o sproporzionate, possono frequentare mille corsi: in una società, diciamo così, normale, hanno tutto e di più. Ma qualcuno si chiede cosa passa loro per la mente? Quali sono le loro fantasie, le loro paure? E i loro veri desideri? I loro bisogni?
Non si entra nella mente dei bambini. Non si entra nel loro mondo. Per farlo bisogna volerlo, ricordare di essere stati piccoli come loro, di aver visto il mondo con altri occhi.
Occhi attenti, senza filtri, che tutto osservano, pronti alla fiducia.
Un’auto ha rallentato, passando davanti alla bambina. Dentro c’è un uomo. Forse anche lui è uno di quelli che, come me, rimangono colpiti dall’innocente serietà della piccola.
L’auto ha fatto il giro dell’isolato e poi è ripassata. È la stessa, ne sono certa. Che strano, ha rallentato di nuovo davanti alla bambina sullo scalino. E poi è passata una terza volta. E si è fermata all’angolo della strada.
Di colpo un ricordo.
Io bambina sullo scalino, un’auto che passa e ripassa. Dentro un uomo con i baffi che mi fa cenni di saluto. Io che lo guardo curiosa e mi chiedo se lo conosco. Ma no, non lo conosco. Però mi dimostra interesse, è proprio me che saluta, mi fa ciao con la mano, ripassa evidentemente apposta per salutarmi. La cosa mi inorgoglisce, sono sempre così trasparente per i grandi che per farmi notare, per avere un po’ di attenzione, di solito devo mettermi a piangere.
Questo signore però no, mi vede per quella che sono, non occorre scoppiare in un pianto disperato. E gli piaccio, non ci sono dubbi, visto che mi saluta, visto che fa tanti giri solo per sorridermi e farmi ciao.
Dove sarà finito ora? Mi alzo e vado a vedere. È là, dietro l’angolo. Mi sta aspettando, sì, aspetta proprio me, sapeva che sarei venuta.
Mi saluta. Mi chiede come mi chiamo. Mi fa i complimenti. Mi vuole più vicino, con lui, in quella strada poco frequentata. Allunga anche una mano per una carezza, ma d’istinto mi ritraggo. No, toccarmi no, signore, non lo puoi fare. Credo che non stia bene. Non sei mio padre, non sei un parente, per me sei nessuno. I bambini si possono toccare solo se vicino c’è qualcuno che gli vuole bene, li sorveglia e dà il consenso.
Non è che me lo abbia detto qualcuno, è un cosa che so da me.
Tu, signore con i baffi che potresti essermi padre, non mi devi toccare. E io in quella strada con te non ci vengo, che mi fa paura. Anche tu non mi ispiri fiducia. Il tuo sorriso non mi sembra sincero, è repellente, ha i denti aguzzi dell’avidità, la bava della carnalità e sento che mi stai dicendo un sacco di bugie. Dici che sono bella, che ti piaccio, che vuoi passeggiare con me, vuoi la mia mano. Ma io non sono una signorina grande come te e non sono nemmeno una bimba piccola. Sono nella fase di mezzo, nel limbo tra l’innocenza e una sorta di consapevolezza astratta, supportata solo dalla mia attenta osservazione del mondo, dall’ascolto degli adulti ignari, dai pensieri che nessuno conosce ma che formano turbini in cuore e cervello. Tu, signore, non mi vuoi bene e non ti piaccio. Tu vuoi una bambina qualsiasi, per farci cosa non so neppure immaginarlo e non lo voglio scoprire.
Volto le spalle a quell’adulto e corro via.
Il ricordo mi crea ansia nei confronti della piccola. Il mondo è pieno di pericoli per i bambini che nessuno ascolta, che sono trasparenti nella fretta degli adulti, che solo chi ha cattive intenzioni nota e prende di mira.
Dove sono i genitori di questa bambina? Mi rendo conto di non conoscerli, di non averli mai visti. La piccola è da poco che siede sullo scalino, credo siano arrivati qui da pochi mesi. Mi riprometto di informarmi, ma ora c’è qualcosa di più urgente da fare.
Ho visto la macchina ferma all’angolo, l’uomo scendere e aspettare appoggiato ad essa, con lo sguardo e un sorriso rivolto alla bambina. Mi sembra evidente che non sia uno che lei conosce. Sto per intervenire, chiedergli spiegazioni, minacciare di chiamare la polizia e allontanare la bambina, avvisare i suoi… tutto nella mia mente avviene in un attimo!
Ma non ce n’è bisogno.
La piccola si è alzata dallo scalino, ha rivolto uno sguardo inequivocabilmente carico di indifferenza e supremo distacco all’uomo, non gli ha concesso nemmeno un sorriso o un cenno. Ha abbracciato la sua bambola di pezza, a rimarcare il suo stato di creatura innocente lontana dalle malizie degli adulti ed è rientrata in casa chiudendo la porta.
L’uomo è risalito in macchina, stupito, deluso, e se n’è andato.
Ho respirato di sollievo.
Il signore con i baffi dopo il rifiuto non si era più visto, anche se io ho continuato a guardare il mondo dal mio scalino.
Non so se la bimba continuerà a sedersi sulla soglia di casa e se l’uomo tornerà alla carica. Non sono in grado di capire se lei, così piccola, ha avuto la percezione del pericolo, o se è stata una sensazione confusa o tutto solo un caso.
Presterò attenzione da questa mia postazione alla finestra e magari inviterò i genitori della bambina, con lei, a prendere il caffè in casa mia e racconterò loro delle fantasie, dei pensieri, delle paure e dei bisogni delle bambine che passano ore sedute sullo scalino, perché forse dentro casa sono invisibili.