Khooshyar e Leila: coraggio su doppio binario
Dottore, dissidente, rifugiato: così lo definiscono e così vale la pena definire Khooskyar Karimi. Mediatore nel senso profondo, aggiungerei io. Nel senso che Karimi rifugiato conosce la vita del richiedente asilo, Karimi medico quella che c’era prima e Karimi scrittore le mette insieme entrambe e lascia che le parole facciano da collante fra il mondo proprio e quello “altro”, fra ciò che si percepisce come culturalmente vicino -uno scrittore, un medico- e ciò che si pensa lontano anni luce -un migrante in fuga, donne perseguitate per il loro tentativo di essere libere e felici. Servono persone come Karimi, per far sì che nessuno dimentichi di essere anzitutto umano e che le vicende altrui non sono mai così radicalmente distanti dalle nostre.
Lo scrittore e medico iraniano racconta, ne “Il segreto di Leila” (Giunti 2016) la sua esperienza autobiografica, alternandola alla narrazione romanzata della vita di Leila, una delle ragazze -e, per questo, l’essenza di tutte- che ha conosciuto e curato. La particolarità sta nel fatto che Khooshyar opera in un panorama bellico ma soprattutto combatte la silenziosa ed eterna guerra degli uomini contro le donne, dove lui si schiera coraggiosamente dalla parte delle donne.
Sono in tante a venire da lui per chiedere l’aborto perché l’onore della loro famiglia, ma soprattutto la loro vita, sarebbero a rischio qualora la loro gravidanza fosse scoperta. “Soprattutto la loro vita” lo dice Karimi, lo dice il lettore a debita distanza, ma non i familiari delle donne, più preoccupati per questioni di onore comunitario. Parliamo di paesi dove ancora si sfoggiano le perdite di sangue alla prima notte di nozze per glorificare la verginità, dove le donne non possono chiedere il divorzio e i medici e psicologi non possono dire la loro riguardo questioni cosiddette familiari, legittimando così, di fatto, tanti soprusi e violenze continue. Ci sono uomini sposati che, noncuranti della sofferenza fisica e interiore, intrattengono rapporti sessuali con ragazze in cerca di marito, per poi attendere semplicemente che abortiscano per poter usufruire nuovamente del loro corpo, non paghi del trauma già provocato. E ci sono le donne ciecamente innamorate dell’idea stessa di matrimonio più che dell’uomo che dovranno sposare. È una convinzione che diventa vera a forza di ripeterla, quasi un incantesimo, una trance, e riecheggia il monito dei genitori delle giovani: “Abituati ad amare tuo marito, e lo amerai”. C’è il consiglio della madre di Leila: “Sei una ragazza matura, sei abbastanza grande per capire che l’amore nasce dopo il matrimonio, e non viceversa. Neanche a me piaceva tuo padre ma ci siamo sposati e siamo stati felici”. Questo capovolgimento, che implica sottomissione, subordinazione del proprio desiderio all’imperativo di mantenere lo status quo e portare avanti la tradizione, sono continuamente ribaditi nel corso dell’opera di Karimi. Il quale a più riprese accusa il senso di infedeltà che lo affligge quando si trova di fronte a un numero indefinito di donne che gli si avvicinano indirettamente, fra mille sotterfugi, tramite amici familiari e conoscenti, per sospendere la gravidanza o tornare vergini. Dall’altro canto, la moglie Azita e la figlia Newsha, che rischiano la serenità per colpa dei rischi corsi dal medico. L’uomo non riesce ad essere consenziente di fronte alla condanna a morte che spetta alle ragazze che gridano aiuto nella sua direzione, ma vive malvolentieri anche la condizione di rischio continuo nella quale si tuffa portandosi appresso le due donne della sua vita. Quasi sempre, il medico finisce per cedere, mettendo se stesso in secondo piano, rischiando la sua vita per salvarne altre. La sua è una testimonianza, la testimonianza della reazione che un uomo coraggioso che si schiera con quelle donne che non escono mai di casa, a cui non è concessa la parola,
Abituati ad amare tuo marito, e lo amerai
Se l’inizio del libro sembra a tratti farlo cadere nei cliché dell’amore proibito calcato sullo stampo della musalsalat, soap opera turca, nella seconda parte del libro si entra in profondità e ci sono passaggi dove si torce lo stomaco anche a chi ha già letto materiale sul tema. In genere non leggo libri di uomini che parlano delle donne, schierati dalla loro parte, perché mi sembrano ipocriti; in genere non leggo libri troppo esposti sugli scaffali della libreria, temendo sempre che sia l’ennesima storiella di intrattenimento, ma questa volta mi sono voluta fidare, dopo essermi lasciata attrarre dal titolo che riporta un’altra traslitterazione del mio nome. Ho voluto scavare oltre la copertina, a mio parere bella ma troppo commerciale, ho voluto fare un’eccezione e ora che l’ho fatta posso dire che ne è valsa la pena.