Ma quanto sei bella!
Presi il treno di primo mattino. Silenziose carrozze, nuove e superveloci, risalirono la collina superando, traversina dopo traversina, la città.
Bella, notevolmente interessante, seduta di fronte a me, oltrepassava con lo sguardo ogni metro di paesaggio che scorreva dal nostro condiviso finestrino. Così pure per ogni cosa che la circondava, oltre a me, i suoi occhi sorpassavano tutto e tutti.
Uno sguardo d’onnipotenza particolare, definitivo nell’esclusione e distruttivo verso tutti i miei tentativi di incrociarne la traiettoria.
Ehiehiehi sonodavantiate guardamiguardami ehimivedi? Ohohohohho!
La guardavo cercando di instaurare un’educata lieve forma di partecipazione comune all’evento che stavamo vivendo: un viaggio in treno da soli, nel tepore del riscaldamento che il vagone ci concedeva, forse con eccessivo spreco di cortesia.
Inutile. Tutto inutile!
bella, notevolmente interessante, seduta di fronte a me, oltrepassava con lo sguardo ogni metro di paesaggio
Ehiehiehi sonodavantiate guardamiguardami ehimivedi? Ohohohohho!
Con un’autosufficienza irragionevole non cedeva, restando indifferente ai miei richiami, silenziosa sfuggiva affermando, in modo incontestabile, la mia invisibilità e trasparenza.
Non può essere, ma chi si crede di essere?
Decisi di intraprendere, allora, un’azione più incisiva, diretta e decisa: fissare in modo insistente, al confine del molesto, alcuni particolari che con lei avevano stabilito, forse da qualche tempo e anche in quello spazio, un diretto contatto, come una quotidiana relazione di possesso e di appartenenza.
Iniziai con la spilla della giacca, dopo passai alle mani, così al collo (lungo e sottile come certe bottiglie di birra), al bracciale, alle scarpe (ballerine da passeggio con fiocco), alle ginocchia (chiare e lucide come una seta), per arrivare alla borsa (invero, quasi un trolley da braccio che tratteneva, poggiando le mani, sul grembo). Per questa perlustrazione impiegai più di un’ora, senza minimamente scalfire la sua statuaria intransigenza verso tutto, me compreso.
Non può essere, ma chi si crede di essere?
Ehiehiehisonodavantiate guardamiguardami hei mivedi? Ohohohohho!
Ma porca miseria è mai possibile? Adesso vado via e cambio scompartimento… no, resistere e insistere! Straniera, no. Italiana, forse italiana, ma sì, italiana e dirigente statale, no, manager industriale, del tipo tagliatrice di teste che, appena passa, tutti la mandano a quel paese, o docente, diciotto ore settimanali, ferie a Natale, a Pasqua, estate libera e se fosse una parlamentare? Sìì, veroooo! Ma in treno? No, non può essere, con i rimborsi garantiti prendono tutti l’aereo… allora, allora… bella, ricca e nobile, forse sta raggiungendo il marito per il fine settimana da trascorrere con gli amiiiiiiiiiiiiiiiiiici, cena e prosecco a volontà. Ma sono a dieta e non bevo, dirà. Mani curate (belle lisce e senza le unghia tinte), magari pediatra; oppure architetto-ingegnere, di queste nuove scienze che mischiano materie per sbarcare Oltralpe…
Una saccente idiota! Sicuro, un po’ stronza! E VAI!!!!
da trascorrere con gli amiciiiiiiiiii, cena e prosecco a volontà.
Superata la stazione di mezzo, scocciato afferrai il giornale e mi buttai interamente nella lettura. Tra gufi e indici pil, mi addormentai subito.
Mi svegliai all’arrivo. Solo. Era andata via. Il giornale stava disteso per terra aperto sulla pagina centrale con su scritto, in stampatello rosso: TU SEI UN GRANDE STRONZO.
Mai più treno, meglio viaggiare in macchina, pensai, almeno il mio navigatore è molto più amabile e non mi lascia mai solo.
Adesso svolta a sinistra tra cento metri… dritto per cinquanta metri… a dieci metri svoltare a sinistra… sei bravo… e interessante… usciamo insieme qualche volta?