Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore
…Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia…
Il calcio di rigore. Il coraggio. La metafora dalla vita. Signori, sportivi, spettatori, tifosi, appassionati o meno di calcio, di letteratura, di storie: diciamola tutta: il pathos vero, in ogni cosa, è sempre l’attimo prima. È l’attesa, più ancora che la realizzazione. È nell’uomo, in quel momento solo più che mai, al centro dell’arena, schiacciato da migliaia di occhi che pendono non dalle sue labbra, ma dai piedi e da quello che farà di lì a poco col pallone posizionato su quel dischetto. La grandezza è essere lì, presentarsi e avere il coraggio di assumersi la responsabilità: poi, far goal o meno può essere un capriccio del Destino.
Il pathos vero, in ogni cosa, è sempre l’attimo prima. È l’attesa, più ancora che la realizzazione
Signori, che oggi prendete in giro Pellè e Zaza sui social, diciamocela tutta: io amo la straordinaria, tragica grandezza di chi si presenta al cospetto degli Dei (del Pallone) e dice: eccomi qua, sono pronto. Io amo il coraggio di chi sfida il ludibrio della disfatta, se sbaglia.
La grandezza è negli occhi. Stravolti, stanchi, tesi, che per un istante cercano quegli altri occhi, quelli del portiere: uno contro l’altro, undici metri di distanza. Uno deve coprire una porta larga sette metri e non far passare la palla che l’altro gli tira contro. Tra i due, su un piano logico razionale, l’impresa più difficile è di chi para. Eppure, la tensione maggiore è quasi sempre in chi tira. Sa che in un secondo si giocherà la differenza enorme che passerà tra uno che ha solo fatto il suo dovere, segnare un rigore (che ci vuole? – dice seduto in poltrona chi non ha mai giocato a calcio manco alla play station), e l’essere invece un pirla a imperitura memoria.
Come, appunto, Graziano Pellè e Simone Zaza oggi, secondo alcuni. Che sono entrati a pieno titolo nella Hall of Fame di chi verrà ricordato non per le sportellate che indomito per due ore ha preso e dato ai marcantoni della difesa tedesca, come Pellè. Ma per un errore nell’appuntamento mancato con la Gloria, quello dei rigori decisivi contro la rivale di sempre, la Germania.
Sì, perché è degli errori che ci si ricorda, dei rigori sbagliati nelle partite clou. Partite in cui ci si gioca una carriera, occasioni che per molti dei protagonisti non si ripresenteranno, come vincere un Mondiale, un Europeo, una Coppa Campioni. Difficilmente ci ricorderemo di un rigore segnato, salvo che non sia l’ultimo e decisivo. Per esempio: Fabio Grosso in finale con la Francia nel 2006; o Jugovic con la Juve, nella finale di Champions nel 1996. E invece, ci ricordiamo tutta l’epos dei rigori sbagliati, con un immaginario coro da tragedia di Sofocle in sottofondo.
I primi che mi vengono in mente, per limitarci agli italiani: Ciccio Graziani nella finale all’Olimpico della Roma contro il Liverpool, nel 1983; Roberto Donadoni, contro l’Argentina, semifinale a Napoli di Italia’90. Era stato il migliore in campo, Donadoni, ma sono spesso i migliori che poi sbagliano dal dischetto. Come fosse la nemesi degli Dei per averli sfidati nella scalata verso l’Olimpo. E ancora: due miti del calcio nazionale e internazionale, Franco Baresi e Roby Baggio, a Pasadena, nel 1994, contro il Brasile. Chi può dimenticare le lacrime inconsolabili di un duro come Baresi, disperato tra le braccia di Arrigo Sacchi? E poi Di Biagio, a Parigi ’98: colpisce la traversa e immediatamente, mani in testa, scoppia nello sgomento, in terra al centro dell’area. E ancora, ci sono i rigori decisivi sbagliati dalle leggende di questo sport: Maradona, Platini, Zico, Messi. Tutti i Miti hanno sbagliato un rigore nel momento più sportivamente drammatico.
Sono icone, dolorose ma proprio per questo incancellabili, impresse nella mente di ciascuno di noi che per questo sport urliamo, ridiamo, piangiamo, ci disperiamo e poi ricordiamo a lungo, a volte per una vita intera.
Fino all’altra sera, ultimo episodio dell’epopea degli errori che non saranno dimenticati.
la grandezza è nell’esserci, su un prato verde come nella vita: solo chi tira i calci di rigori può sbagliarli
Eppure, io a Graziano Pellè, se mi leggesse, vorrei dire solo: sì, hai fatto lo sbruffoncello con Neuer e potevi risparmiartela. Ma alla fine tu c’eri. Ti sei presentato lì, ti sei preso una responsabilità e nel racconto non sempre a lieto fine che è la vita, stavolta è andata male. Hai tirato un rigore obiettivamente inguardabile. Ma la grandezza è nell’esserci, su un prato verde come nella vita: solo chi tira i calci di rigori può sbagliarli