Tuìotu
La mattina che ti abbiamo accompagnata al camposanto si moriva dal freddo.
Era stata una stagione un poco insolita da queste parti. Un febbraio glaciale. Neve dappertutto.
E tu eri andata via così, lasciando dentro di noi una sfolgorante luce di rimbalzo.
Dieci anni dopo nasceva tua nipote.
Una buffa creatura con due occhi grandi, promettenti. Spalancati su un mondo caldo di fine agosto.
Un nuovo tu entrava nella mia vita, dalla porta da dove tu eri uscita. Una porta cigolante su cominciamenti da capolavoro. Ben incardinata in conclusioni sempre nuovamente aperte.
Tu, io, tu.
Questo triangolo piatto, a una dimensione, senza vertici e lati, ha cominciato a prendere forma nella mia vita.
Un triangolo spuntato. Quasi più simile a un cerchio, privo di dimensioni. Forse, in effetti, non molto diverso da un punto.
Ecco il punto: un tu che è un io che torna ad essere un tu. Questo siamo noi tre.
Me lo ha suggerito proprio tua nipote quando nei giorni scorsi il Tu bambina ha cominciato a giocare con i pronomi e mi ha consegnato questo segreto, così scoperto da essere totalmente invisibile.
Continua a chiamarmi Io, in ogni interpellanza.
Quando vuole che mi avvicini a lei Tu dice “Io cà” e mi indica con il ditino il palmo di pavimento a due piedi da lei, luogo dove pretende di esercitare nei miei confronti – e a buon diritto – la potestà filiale che le viene riconosciuta da ogni trattato internazionale che si rispetti.
Quando vuole infilarsi da sola le scarpette comincia a dire “Tu, Tu scappe” e guai se ti impegni ad aiutarla, distratto dall’ennesimo ritardo che si sta consumando, tuo malgrado, per colpa tua.
È tutto un capovolgimento ontologico quello che la piccola Tu ha inventato.
Il fatto è che, chiamandomi, si ostina a indicare con il suo ditino un punto del pavimento:“Io cà, Io cà” e attrae il mio sguardo con sempre più forza dentro le sue parole.
Ma il punto che indica, mentre la ascolto e mi avvicino a lei, diventa sempre più chiaramente il varco verso una dimensione inedita del mondo.
Un mondo inaudito che capovolge i poli, i meridiani, i paralleli.
Il sud e il nord, levante ed occidente.
La dimensione di un Io che rimonta al Tu, salendo indietro le rapide di un controcorrente di montagna.
Ricuce pezze dilaniate dalla storia, differenze tracciate con il sangue, fraternità smarrite, figliolanze dimenticate, paternità e maternità mai riconosciute.
Affinità tra generazioni, uomini e popoli, pronte alla resurrezione.
Tutto, in questo punto, rivela prospettive rovesciate e scarti obliqui. Così: su questa nuova terra capovolta, un tu che chiede aiuto è pronto a fecondare un nuovo io.
La voce errante di una bimba inventa inconsapevoli geometrie relazionali. Fa fare capriole ai fondamenti della terra.
Così: su questa nuova terra capovolta, un tu che chiede aiuto è pronto a fecondare un nuovo io.
Così, ancora, tracciando le linee aperte dal punto di fuga segnato all’orizzonte appare una scena crespa e ondulata di mediterraneo.
Un velo bianco di schiume che schizzano ai fianchi di maledetti scafi dei Caronte d’Africa, conchiglie cariche di supplici in avvicinamento.
Poi, in evidenza abbacinante, la rivoluzione dei pronomi: chi chiude gli occhi di fronte a questi tu del mondo è cieco di natura, non ha mai visto nulla, ha perso sempre, è un io lontano mille miglia da se stesso.
Sono venuto al mondo per risalire la corrente, avvicinarmi all’io perduto soccorso finalmente da quei tu.
Io sono Africa.
Da generazioni la mia terra è considerata propaggine africana. Sono contento di essere africano, seppure per interposta attribuzione. Mi piacerebbe – adesso – esserlo di più.
Tutto viene da quel ceppo, le fronde son diverse, la radice no. Così ritorno indietro alla radice e trovo nuovamente te: il Tu che partorisce e che fa nascere.
Così ritorno indietro alla radice e trovo nuovamente te: il Tu che partorisce e che fa nascere.
Ripercorro il filo che mi avvolge, oggi, alla vita di quegli uomini.
Non è soltanto il sale del mediterraneo. C’è di più: è appunto una questione radicale.
Deve esserci qualcosa di simile allo stesso intreccio di onde anche tra la mia vita di questo istante, supplicante e in fuga, e quella mattina di un febbraio molto freddo in cui ti ho salutata.
Come anche tra te e quel caldo pomeriggio di tardo agosto in cui ho avuto un insolito incontro con due nuovi occhi di bambina.
Mi trovo così dentro questo gioco di riflessi esistenziali in cui Io sono sempre contemporaneamente un Tu che mi ha lasciato e un Tu che mi ha raggiunto.
Non so raccogliere molto di più da questi indizi. Ma certo sono tracce che vanno messe insieme.
Non mi è nemmeno molto chiaro se e come le cose tra di voi funzionino con la semplice cerniera della mia vita che vi unisce, ma così mi pare che sia andata questa storia fino ad ora; e, in definitiva, sono contento che voi abbiate fatto conoscenza.
Abbracciato da occhi come i vostri, che si scrutano in un reciproco sguardo impossibile, ricordo di aver sempre pensato che ci fosse qualcosa da risolvere nel futuro della mia vita.
Sempre questo presentimento che si trattasse di un dolore in attesa dei miei passi, che si trattasse di me, di una grande gioia, forse, ed era di voi che si trattava.
Oppure di un segreto semplice, un tuìotu che suona come un solo accordo.
Quando sorridete ai miei pensieri folli mi sembra di raccogliere da quel mare una sentenza luminosa che, per un istante, riesce a puntellare il cielo. Credo che non potrò più smettere di ringraziarvi per avermi trascinato in questa storia.
Grazie di avermi messo in mezzo.
(Il racconto ‘Tuìotu’ di Michele Maria Genna è vincitore, primo classificato, della seconda edizione del Premio Patti)