Bruce Springsteen – Badlands
Prima di divenire un totem planetario a suon di dischi d’oro e inni a stelle e strisce, Bruce Springsteen era soprattutto il cantore di una generazione trasversale di persone che avevano/hanno un’idea ben precisa di come le cose vadano a questo mondo: di merda. Storie di operai, ballate di personaggi della più oscura provincia americana baciati dalla dea della sconfitta il giorno stesso in cui la madre, magari senza aver progettato troppo la cosa, li ha messi al mondo. Però come in ogni storia americana che si rispetti la speranza di elevare la propria esistenza oltre le catene di una nascita sfortunata non manca mai. E in fondo dovrebbe essere così pure di qua dall’Oceano, dove talvolta proviamo un sadico piacere nel lasciarci travolgere dallo spleen esistenziale. Insomma, questi badlands, bassifondi, che siano della vita o della periferia, che il tuo problema sia il lavoro che non c’è o che se c’è ti fa bruciare la schiena piuttosto che il cuore che ti si è spezzato eppure più non sanguina, i badlands li devi vivere ogni santo giorno. Se poi questa fatica frutti qualcosa che non sia mettere in fila lune nuove e lune piene, non ti è dato sapere. Ma lo devi fare, a costo di svegliarti “nella notte con una paura così vera di dover passare la tua vita ad aspettare un momento che naturalmente non arriva”. Buon bassifondo da RadioFus, il boss, il sottoscritto, un paio di operai americani e diseredati tutti.