Elvis Presley – Hound dog
Chi sostiene che nel rock ci sia una matrice diabolica, se non dice il vero, ci va poco lontano. E vi dirò che per certi versi ne sono quasi convinto che ci sia un ché di luciferino. Come spiegare altrimenti quegli incroci (Crossroads) delle strade del Mississipi ove tale Robert Johnson, negli anni trenta, incontrava il diavolo e stringeva con esso un patto che lo porterà a morire giovane e disfatto dall’alcool, ma a rimanere nella storia come uno degli inventori del blues moderno. E poi Hank Williams, il contraltare bianco e country del bluesman nero Johnson, già celebre a trent’anni nemmeno compiuti. Quando lasciò questo mondo, insomma. E che dire, infine, di quel ragazzone timido e dolce che mischiò bianco e nero in un turbinio di grida, riff di chitarra e amplessi mimati con l’asta del microfono che passò alla storia con il nome di Elvis Presley? Che qui ci canta Hound dog, una canzone che sa di odio, rivalsa, sofferenza e sentimenti frustrati sputati su un microfono in fiamme. Si, il rock ha un ché di diabolico. Se non altro perché si rifà alla vita. Quello che oggi è paradiso, domani può divenire inferno. E così si finisce per urlare cose del genere: non sei nient’altro che un cane da caccia. Ma può essere anche il contrario. E anzi, non ce ne vogliano Johnson e rocker tutti, ma spesso è così. Perché il rock’n’roll, come la vita, è fatto di scale. E allora buona scala (ascendente) a tutti da RadioFus.