Non ho voglia di spiegare!
Ho immerso lo stivale in una grossa e profonda pozzanghera.
Si, che l’avevo vista.
No, non l’ho evitata.
SI. Lo immaginavo.
NO. Non ho voglia di spiegare!
Comunque… è quasi giugno eppure diluvia.
Tutto qui, che c’è da dire?
Sono precisamente così anche io.
Ho trascorso numerose settimane impiegando ogni mia forza per far crescere germogli di fiori colorati da quei bulbi – quelli che tu sai – cercando ostinatamente il sole ovunque filtrasse, tra nuvole appoggiate in grigissimi mucchi che, lievi e traslucidi, si stuzzicavano lacrimando molto di frequente ma delicatamente.
A te non pare che il cielo sappia dire molte cose, e meglio di noi?
Con questo mio tiepido fiato ho soffiato un vento leggero a scompigliare i capelli, non più folti, non più neri.
Ho raccolto tutte le possibili energie per riaccendere timidi impulsi, vividi sebbene scostanti, perché intorpiditi dall’ovattato sonno di troppi calendari.
Risultato? Eh… A te non pare che il cielo sappia dire molte cose, e meglio di noi?
Lo stivale si è del tutto inzuppato, ed era previsto fin da principio che sarebbe accaduto, ed in effetti però ‘saperlo’ non ha impedito che accadesse.
‘Sapere’ non protegge ma magari può offrire dei modi, strumenti per aprire delle nuove vie.
A me accade sempre così, di avere una lucida e razionale consapevolezza, che magari aiuta a reagire ma pur non evita che le cose feriscano in egual misura.
Ora ho il freddo della pioggia appiccicato al calzino, lo sento trapassare dalle pareti interne del mio stivale fino alle ossa che lo reggono.
Umido, il mio piede trasmette brividi diretti alla mia schiena.
(Così in fretta? Io non credevo, non pensavo, che si parlassero così rapidamente. Io volevo pensarci su, dare il mio permesso.)
I miei portentosi fiori arancioni – sai che alcuni erano davvero molto cresciuti? – hanno lasciato riempire la loro corolla di opaca pioggia, per quanta ne poteva contenere, e poi si sono ribaltati, ricurvandosi a testa sotto, carichi del peso di quell’acqua che un tempo li aveva pazientemente nutriti ed ora invece li schiaffeggia ritmicamente.
Alcuni si sono spezzati ma… me lo aspettavo.
Ad altri avevo affidato tutte le mie speranze perché resistessero. E stanno lì, a faccia bassa, a chiedermi – imploranti – per quanto ancora dovranno resistere.
(Davvero avevo pensato, di nuovo, di affidare le mie speranze ad un fiore?)
Apro l’ombrello ora, devo raggiungere casa.
Ho i piedi del tutto bagnati ed intorpiditi.
Sono importanti i piedi ma spesso non ci si ricorda di averli finché non recano fastidio o dolore: proprio come l’anima.
Faccio scivolare il dito sul bordo dello stivale, nel tentativo di liberarmi da questo impiccio che non capisco esattamente cosa sia.
Tiro giù la cerniera fino in fondo, faccio pressione sul tallone, tolgo anche il calzino.
Ah, ecco: era un imbarazzante, ormai inutile strato di pesantezza intrisa ed appiccicosa.
(Eppure io ricordo molto chiaramente che avevo indossato le calze per un certo conforto.) Nessuno può sorridere a lungo se è costretto a camminare con le scarpe bagnate
Adesso schiaccio i piedi nudi e gelidi sul freddo marmo del pavimento, solidamente piatto, efficace livella del mio inquieto ondeggiare.
Io ci ho provato, a provarmi più serena ed anfibia del previsto… ma adesso devo ammetterlo: nessuno può sorridere a lungo se è costretto a camminare con le scarpe bagnate.
In ogni caso, è stata una benedetta coincidenza che diluviasse proprio questo pomeriggio perché, se non fosse piovuto così rumorosamente, non avrei potuto tirar fuori quel filo di voce e legarci stretto con un nodo di fortuna – fermo e ben saldo in gola – quel che dovevo dirti.
Se non ci fosse stata tutta quell’acqua a scrosciare fittamente sul tetto delle nostre parole, non avrei cercato riparo ancora una volta dentro il tuo abbraccio, stringendoti più di sempre.
Ora ha smesso da pochi minuti.
È passata.
(Siamo stati vicini per tutto il tempo. Vedi?)
Ci è piovuto intorno ma eravamo ancora qui. Lasciarmi attraversare: la forma di amore incondizionato che preferisco
Non ci siamo mica abbandonati.
(Non accadrà mai.)
Non sono rimasti molti fiori, giusto un paio.
(Ma mi sono ricordata – stai tranquillo – che mi avevi regalato degli altri semi. )
Gli stivali, quelli non potrò indossarli per un po’.
(Ma si asciugheranno presto, almeno credo. )
D’altronde, ho pensato che se persino il cielo-maestro ha lasciato scorrere tanta energica acqua, magari potrò fare così anch’io.
Da brava apprendista imparerò tutti i trucchi per lasciarmi attraversare: la forma di amore incondizionato che preferisco.
Io ho scelto dunque: la-scio an-da-re.
Lascio. Vado. Finisco. Smetto.
E ricomincio.