Lettera aperta a tutte le donne
Sono circondata da donne. Giovani, meno giovani, imbronciate, spiritose, civettuole, insicure, colte, splendenti, timide. Ne conosco di tutti i tipi, ed è per questo che oggi ho deciso di scrivere una lettera a tutte loro, a tutte noi, a tutti i personaggi che costruiamo e distruggiamo, a tutte le versioni di noi che mettiamo in scena solo per cancellarle quando lo spettacolo è finito. Scrivo alle donne e in favore delle stesse.
Inizio con un imperativo: togliamoci quello sguardo indagatore dagli occhi, quelle critiche inespresse, quel logorante analizzare le altre, confrontare, sommare, sottrarre. Un complimento fatto ad un’altra non è un complimento tolto a noi, così come insistere sulla cellulite altrui, sui fianchi, sul naso troppo largo, troppo lungo, i capelli troppo crespi, il troppo magro, troppo alto, troppo di troppo ci avvelena. Sono espressioni tossiche perché poi le affiniamo sul nostro corpo, le amplifichiamo sui nostri difetti che cerchiamo negli altri, idolatrando bellezze che hanno trovato un largo consenso e svilendo le bellezze quotidiane, un po’ sfatte, quelle dalla pelle imperfetta e dalle dimensioni reali. Smettiamola di vedere gare ovunque, di sminuire con appellativi laidi, infimi che sporcano la nostra bocca prima di arrivare all’oggetto dell’insulto.
Io lo so. E quindi non ti faccio la guerra, siamo dalla stessa parte anche se combattiamo battaglie diverse”.
La pancia piatta di una può ricordarci i nostri fallimenti, le nostre frustrazioni, il vestito messo da parte, i bambini che succhiano via il nostro corpo. Eppure, eppure siamo ancora donne, sempre donne e ci dobbiamo un po’ di rispetto, un volerci bene estemporaneo, limpido. Un sentimento che non ha del melenso, ma una fierezza spietata, scomposta. Un sentimento che riesca a dire “Anche se non mi piaci, io lo so cosa vuol dire guardarsi e non piacersi, camuffare e recitare, piacere per il puro gusto personale e sprofondare nell’abisso. Io lo so cosa vuol dire prendere un abbaglio, sentirsi sola, innamorarsi di qualcuno che ti trascina lontano da te e ti lascia con un’altra te che non riconosci più, che devi imparare ad amare di nuovo. Lo so che hai dovuto odiare un’altra per arraffarti l’amore di chi poi se n’è andato. E so anche che ti sei odiata per questo. Io lo so. E quindi non ti faccio la guerra, siamo dalla stessa parte anche se combattiamo battaglie diverse”.
Ecco, io questo direi alle donne, ma alla fine mi passano accanto, dentro, fuori, nelle vicinanze e io non dico niente. Quindi vi scrivo, Donne. Prendete questa lettera aperta e dedicatela a chi volete, è mia ma è anche vostra.
È nostra.