248
Il 248° giorno dell’anno, senza particolare stupore, mi sono accorto di avere vissuto appena trentaquattro giorni. Duecentoquattordici giorni sperperati, senza che nessuno in questo periodo sia venuto a dirmi: Che stai facendo?
Di questi trentaquattro ho un’illuminata memoria, cioè di essi ho un ricordo chiarissimo. Ma devo essere sincero, di questi trentaquattro, quindici li potrei archiviare in un contenitore e riporli nello scaffale in alto del ripostiglio scrivendo sul bordo esterno giorni dell’anno da ricordare senza particolare attenzione. In pratica, li dovrei, per onestà intellettuale, associare agli altri duecentoquarantotto, senza che cambi nulla.
Fatto il conto di trentaquattro ne restano diciannove.
mi sono accorto di avere vissuto appena trentaquattro giorni
Vediamo… sei sono legati a quel tempo trascorso su strade forestiere fatte di passaggi, soccorsi, rincorse e anche di qualche applauso.
Strano viaggio di passi, di paesaggi, d’incontri e racconti.
Dieci giorni invece appartengono a quelle occasioni di convivialità, memorie insistenti fatte di piccole cose, ma che possiedono, al loro interno, una vitalità straordinaria quasi una serena e gioviale predisposizione ad accettare il prossimo.
Strano viaggio di passi, di paesaggi, d’incontri e racconti.
Ne restano tre.
Il primo è fatto di secondi, minuti, ore. Un’ora precisa, un pomeriggio, una sera tarda o un mattino connessi a una rivelazione improvvisa, forse metafisica, che riempie di significato un’intera giornata.
Il secondo è un abbraccio. Tenero, dolce, sensuale. Non legato al tempo dell’orologio ma fissato in un giorno preciso dell’anno. Da associare alla fine di una giornata faticosa. Un momento da registrare tra quelli uguali a tanti altri, ma che t’investe con la forza, ti aggredisce e allora, non puoi fare altro che rassegnarti alla sua presenza, energia pura. Accettazione.
Il terzo e ultimo giorno è quello nel quale ho deciso di dimenticare i duecentoquattordici giorni.