Come plastilina
Quando penso alle cose belle mi vengono sempre in mente il profumo del pane e, per una strana allegoria che poi spiegherò, la plastilina. Nel palazzo dove vivono i miei nonni c’è un panettiere e l’odore di quel posto si è mescolato ai miei ricordi in un sinolo così naturale che ormai non riesco a separare l’odore dal ricordo.
Ci pensavo qualche giorno fa, quando sono tornata a casa. Non si ritorna mai come si era prima, si ritorna sempre con l’aggiunta di qualcosa, un bagaglio un po’ più pieno ma che non pesa, non ingombra. Ogni cuore può contenere a dismisura, si allarga, si scompiglia, si dilata, ma non si rompe mai. Anche quando pensiamo sia rotto e vuoto, in realtà è solo scomposto, un po’ come la plastilina: cambia forma, perde pezzi, si lascia plasmare, ma alla fine ritorna tutta intera. La distanza mi ha insegnato a dilatarmi, a dare di più per compensare le distanze. A dare in maniera più essenziale, come un’essenza profumata. Poche gocce che rimangono addosso, si attaccano ai pori, non scivolano, non si disfano nell’aria. La distanza mi ha insegnato a calibrare le parole, a distribuirle come un balsamo. Ad esserci quando posso, ma in maniera completa, senza torpore, senza indifferenza. E quando impari ad esserci non sopporti più le mezze misure, le presenze distratte di chi ti poggia gli occhi addosso senza entusiasmo, senza interesse, senza raccontarsi né ascoltare.
La distanza mi ha insegnato a dilatarmi, a dare di più per compensare le distanze. A dare in maniera più essenziale, come un’essenza profumata.