Lo smegma che ho coltivato
i muscoli di Andrea così alto così
bello
stanotte lo violento da me
vivo in una pustola scavata sulla faccia del centro storico
palazzi di lebbra coperti di edera nera che sugge fegati
mi eccita talmente osservarlo guidare
mi sputo nella mano
afferro il suo clitoride
lo masturbo senza orgasmo
siamo a casa
la luna si stacca dal cielo
cadendo tira giù una parete
Andrea non lo vede
entra un’aria fresca fumo estivo
la luce si fa cera calda
cola su pavimento vestiti muri
un tappeto nero di blatte sulle tavole del parquet
calze gravide di escrementi sciolti
un odore violento inumidisce l’aria
da i peli del naso suda un’acqua marrone
sul letto il lenzuolo è una crema bianca
fa rumore di bolo troppo masticato lercio
bocca ansimante carica di lunghi vermi
ho una pappa di sudore tra le cosce e lo scroto
gli afferro i ricci corti lindi
apro le gambe
gli immergo la faccia
lecca via la maionese
gialla
che mi scivola sul perineo
è virile
trema
tra le lacrime vomita grossi pezzi di muco bianco
mi ci lubrifico l’ano
poi lo spingo
intero
dentro di me
l’ho ingoiato
Andrea
è me io
sono
Andrea
sono stremata
lenzuola asciutte
mi avvolgo sono
serena.
guardo avanti sdraiata
sdraiata sul letto sul mio candido
letto
profumato
e fresco
infilo quattro dita sotto il prepuzio raccolgo
lo smegma che ho coltivato per due settimane
lo spalmo
fra i capelli mi addormento la luna intanto
è di sotto cinta da uomini coperta di sangue
osserva tutto un vecchio si infila
ricordi nell’uretra dal buco del glande
dalle pieghe di pelle
nel ventre ricava dei guanti
guanti bianchi di lattice caldo li indossa
si scava via gli occhi
e nelle orbite coltiva un orto di feti morti.