Cosa faccio quando non ti sto ad ascoltare
Mi piacciono le persone che parlano tanto. Compensano la mia scarsa, per lo meno da sobrio, propensione alla verbosità. Ci sono persone che, tuttavia, parlano troppo, senza senso della misura. Parlano a vanvera, seguendo un filo tutto loro e questo filo, che di logico ha ben poco, gli si deve essere aggrovigliato in qualche meandro del cervello. Parlano di due, tre, anche quattro argomenti alla volta e rendono il tutto una salsa incolore e alquanto indigesta. Parlano soprattutto di se stessi, delle loro esperienze in qualsiasi campo, quasi che le vie del Signore per loro siano fatte e finite. Parlano anche di altri, a dire il vero: del marito, della fidanzata, dell’amico, di stocazzo, di persone infallibili, perspicaci, lungimiranti, da portare ad esempio un po’ per tutto. Oltre a parlare, ridono. Non tutti, ma molti ridono. Un intercalare. Come una bestemmia, dalle mie parti.
Ci sono giorni in cui non ho nemmeno in idea di sorbirmi un monologo scotto sul cazzo di niente. Vuoi che sia domenica e le palle mi trottolano in testa, vuoi che la sera prima ho fatto tardi e dall’anagrafe mi ricordano che con il 3 davanti occorre dormire X 2, quindi 6. Vuoi che non ho un carattere propriamente solare. Vuoi quello che vuoi. Ma la sostanza questa è: non mi va cazzo, non mi interessa, non mi importa una sega. Fanculo te e quello spiderman di merda di cui parli. Ma sono un signore e ho un ottimo filtro posizionato tra l’aorta e l’intenzione. Quindi bye bye scassaballe. Tu parla, pontifica, magnifica,
prolifica, fica. Al resto ci penso io.
In tutta questa disgrazia c’è una fortuna: questi non ascoltano, non hanno la necessità di avere un feedback
Quindi non c’è bisogno di ascoltare. Basta annuire. E trovare un diversivo. Solitamente cerco aiuto altrove, guizzo con lo sguardo tra i loro occhi e quello che hanno alle spalle.
Altre volte ho più fantasia. Succede, ad esempio, durante convegni inutili e riunioni boriose. Mi è capitato di concentrarmi su un sedere di mia conoscenza. Ho raggiunto un tale grado di concentrazione che manco mi sono accorto che quella cosa solida su cui picchiettavo i polpastrelli non era il tavolo. Poco più sotto.
Diceva mia nonna che a tutto c’è un antidoto. Non ricordo se mi avesse dato una sua opinione in merito a quanto detto. Ricordo, però, un pomeriggio d’estate in cui una sua coetanea la investì di parole. I tempi in cui andavano a
scuola loro. Quei bei pretini di una volta. Mia nonna a scuola era andata un anno o due e poi qualcuno gli aveva detto basta così, vai a pascolare le mucche che è meglio. In quanto ai preti, la lasciavano piuttosto indifferente, sia le nuove leve che quelli di una volta. E fu così che chiuse gli occhi di fronte a quella bocca slabbrata e si addormentò.
Questa è classe. Quando sarò vecchio, anch’io voglio addormentarmi di fronte a chi parla per se stesso e non (anche) per me. Nel frattempo, continuo a sperimentare nuove vie di fuga.