M.de Kerangal, Lampedusa: paesaggi in mutamento
Lampedusa prima e dopo la crisi dei migranti: a raccontarcela, inaspettatamente, è l’autrice francese M.de Kerangal, che ne ricava un poetico canto epico.
Mayils de Kerangal, stimatissima autrice francese resa nota in Italia dal suo romanzo Riparare i viventi (Feltrinelli 2015), torna in Italia con un breve libro su Lampedusa. Argomento più che mai attuale, oggigiorno, e molto sentito nei confini nazionali e ben oltre. L’autrice, però, si è cimentata nella stesura di questo lungo canto all’isola siciliana nell’ormai lontano 2014, quando il dramma dei trecento morti a Lampedusa era ancora caldo. Lo ha scritto quando, invitata ad un convegno, le era stato chiesto di parlare di paesaggi.
Quello che la Kerangal descrive, infatti, è il paesaggio umano dell’isola, il paesaggio idealizzato che aveva in mente, popolato dal principe Salina e da Ned Merril, immaginato grazie agli scritti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e alle riprese di Luchino Visconti. Paesaggio che amava immaginare come qualunque isola siciliana, “dove si contano le stelle cadenti nelle notti indaco, mentre la terra trema”, ma come qualunque isola in generale, ad esempio quelle di cui aveva letto, quella di Ulisse, di Robinson Crusoe con Venerdì, quella dei ragazzini di Goldling nel suo Signore delle Mosche, del Capitan Nemo, la Sant’Elena di Napoleone, l’isola di Lost, Gauguin a Tahiti, Calipso nel bel mezzo di Ogigia.
Kerangal non vuole stendere un trattato socio-politico della crisi dei migranti, così come in Riparare i viventi non era sua intenzione tentare il confronto con Dr House o Grey’s Anatomy. La scrittrice si è sempre distinta per la sua acuta capacità di costruire poesia in terreni aridi e impervi. Lo ha fatto trattando la costruzione di un ponte, con un trapianto di cuore, lo fa ora con Lampedusa. È interessante leggere l’Italia attraverso i suoi occhi, come per i contemporanei di Stendhal doveva esserlo leggere le sue cronache italiane, sorprende vedere citato l’episodio della Concordia, stupisce accorgersi di come la realtà che si respira in Fuocoammare, ovvero quella di due mondi che si sfiorano senza incrociarsi mai in una stessa, minuscola isola, fosse stata già colta da un’autrice che abita fuori dai confini nazionali.
Lampedusa, di Maylis de Kerangal, merita di essere letto non soltanto come riflessione sullo stato attuale della migrazione in Italia ma, come tutti i libri della Kerangal, con un trasporto e una fiducia totale nelle parole dell’autrice, con la certezza che, a prescindere dall’argomento di cui scrive, saprà comunicare emozioni.
Emoziona l’evocazione continua di paesaggi, di nomi, di fantasmi, emozionano le lande che immaginiamo appena grazie a descrizioni sfocate, l’alternanza a coacervi di teste, urla, odori, la descrizione puntigliosa di ciò che ruota attorno al dramma che la scrittrice circumnaviga come fosse un’isola, senza centrarlo mai, senza indicarlo, quasi in segno di rispetto.
È lei stessa infatti a citare Gilles Clément quando dice che il “paesaggio è ciò che resta nella memoria dopo aver smesso di guardare”. Maylis de Kerangal racconta infatti il suo proprio paesaggio di Lampedusa, ma soprattutto, in un affastellarsi di capitoli brevi in cui si ripete la stessa frase di inizio, “à ce stade de la nuit” (che dà il titolo all’originale francese, pubblicato da Editions Verticales, affiliata a Gallimard), coglie una realtà essenziale: il dramma profondo dei morti in mare e dei sopravvissuti è canto funebre che si capta solo attraverso il canto corale, l’oralità.
Oralità collettiva, individualità che si dissolvono in un insieme che non perde dignità nella narrazione dell’autrice francese. La quale, peraltro, evidenzia anche un altro punto cruciale su cui ogni europeo è portato a riflettere, ovvero il diverso approccio al mondo che queste persone venute dal mare hanno, rispetto a noialtri. “Un rapport au monde conçu non plus en termes de possession mais en termes de mouvement, de déplacement, de trajectoire, autrement dit d’expérience.” (“Un rapporto con il mondo concepito non più in termini di possesso ma di movimento, spostamento, traiettoria, ovvero di esperienza”).
Sembra quasi accorgersene mentre scrive, la Kerangal, del cambiamento profondo che la morte dei trecento migranti ha segnato nella storia di Lampedusa. Per una volta, un fatto reale è riuscito ad oscurare la fama letteraria e leggendaria che la precedeva, che le ruotava attorno come un’aura. Per la prima volta, a fare da eco al nome dell’isola c’è una cruda, umanissima realtà.