Pedofilia, una parola sbagliata
Sì, pedofilia è una parola sbagliata. Pedo- (fanciullo) più -filia (amore per). Se questo è amore il Papa è musulmano. Si tratta piuttosto di morbosità e perversione, inflitte per giunta a bambini che non possono e non sanno come difendersi. Un tema sulla bocca di tutti in questi giorni, ma (fortunatamente?) distante dai più.
Nessuno mette in dubbio che siano atti terribili, eppure in tanti non riescono a capire. Per esempio, perché alcuni bambini parlano e altri no? Perché in certi casi basta una carezza di troppo per far scattare allarmi decisi e in altri le violenze vengono perpetrate per anni? Perché c’è bambino e bambino, direte voi. E anche perché c’è pedofilo e pedofilo. Ma il punto è un altro. Che cosa porta una vittima a tenersi tutto dentro, magari anche per sempre?
Finché nessuno lo sa, si potrà fingere che non sia mai successo. Anche con se stessi
Senso di colpa, paura, confusione. Sono questi i vissuti alla base di un silenzio che spesse volte è anche anestetizzante. Finché nessuno lo sa, si potrà fingere che non sia mai successo. Anche con se stessi. Ma quando le carte vengono scoperte è come se si aprisse il vaso di Pandora. Niente sarà più come prima. Nel bene e nel male. E spesso è da lì che ha inizio lo scompenso.
“Perché non hai parlato prima?” (Perché ho parlato?) “Lasciatelo alle spalle, è una cosa del passato” (Già, che però incide sul mio essere nel presente). E di nuovo viene confermata la tesi iniziale: c’è da sentirsi in colpa. In tutto questo l’amore non c’entra nulla, è evidente.
Davanti ai fatti di cronaca, davanti alle storie che sconvolgono ma solo per cinque minuti perché tanto stanno dentro il televisore, non c’è da capire, non c’è da ragionare, c’è solo da mettersi per qualche istante nei panni della vittima, solo così non si rischierà, se mai succedesse a una persona vicina, di dire la cosa sbagliata.