Letizia come le radici
Letizia era una grande osservatrice. Fin da bambina aveva sempre avuto l’innata e spiccata capacità di notare subito i nei sui visi, gli insetti schiacciati sui muri o le figure sbagliate in una sequenza. All’approccio con qualunque oggetto, situazione o persona, lei cercava prima di tutto un punto preciso di imperfezione, qualcosa che fosse vero e reale al cento per cento.
Era certamente un dono, anche se magari non proprio simpatico, nel caso che la gente se ne fosse accorta.
Per fortuna era anche riservata e silenziosa, e sorrideva spesso e discretamente, senza aprire la bocca e senza mostrare i denti.
In ogni caso, lei stava benissimo da sola e non si annoiava mai, o almeno così le sembrava, o almeno non aveva voglia di lamentarsi.
I suoi passatempi adorati erano pochi ma buoni: amava più di ogni altra cosa il gioco dei quindici, quel catartico quadrato di plastica con i numeri che si scombinano, per poi farsi ricomporre in giusta sequenza. Era bravissima nei puzzle: neanche a dirlo, riusciva con un colpo d’occhio a trovare subito il pezzo mancante, e poi però non diceva subito di averlo individuato, perché altrimenti la sua mamma avrebbe smesso di fare le adorabili sciocche vocine mentre lo cercava.
Gli amici erano pochi, e neanche tutti buoni. In ogni caso, lei stava benissimo da sola e non si annoiava mai, o almeno così le sembrava, o almeno non aveva voglia di lamentarsi.
Tra gli amici buoni c’era un piccolo gruppo dell’oratorio, ragazzini e ragazzine di età simili ed amanti di chiacchiere, canzoni, natura ed escursioni: una benedizione per una come lei abituata a trascorrere interi pomeriggi nel silenzio della sua stanza.
Nel pomeriggio di una domenica di maggio, Letizia e Giorgio camminavano su un sentiero leggermente in salita che fiancheggiava un bosco non troppo verde e non troppo fitto, come ce ne sono tanti nel vicino entroterra palermitano.
Chiacchieravano senza timidezze, riuscivano a trovare modi e pause giuste per parlare entrambi. Ridevano di gusto e, nonostante la loro giovane età, comprendevano bene di avere un affetto ed un legame speciale. Ne era prova che con gli altri ragazzini stavano zitti e sorridevano alle battute ma non riuscivano a divertirsi alla stessa maniera come facevano loro due insieme, non sentivano le risate uscire dagli occhi.
Giorgio, occhi stretti e verdi, stava adesso raccontando di come la sera fingesse di dormire quando la mamma passava per il bacio della buonanotte.
Letizia, occhi tondi di cioccolato al latte, lo ascoltava compiaciuta e sorniona, dimenticando la stanchezza dei piedi, e la sete, e il caldo, raccontando per risposta di quando mangiò per sbaglio almeno tre moscerini.
Ad un tratto del percorso Letizia si bloccò ammutolita di fronte ad un albero.
Non era da frutti, non era alto, non era largo. Stava su un cumulo di terra che sporgeva proprio sul bordo del sentiero e ne copriva le radici solo per metà, lasciandone il resto all’aria e al sole, e proprio all’altezza degli occhi di Letizia. Disse:
‘Questo me lo voglio ricordare PER SEMPRE.’
Bastò uno sguardo silenzioso di qualche minuto per fissare volutamente e caparbiamente quell’immagine tra i suoi ricordi più cari, senza possibilità alcuna di giudizio. Era come una fotografia scolpita ed archiviata a buon diritto nella mente.
Quelle radici erano così vere… esposte e fragili, perché senza terra, ma pur sempre forti, perché si vedeva bene che non erano secche o sottili. Letizia aveva deciso in quell’esatto momento di somigliare per sempre a quell’albero, instabile ma vivo.
I ragazzini vengono troppo spesso sottovalutati, sebbene siano un concentrato puro di vita e sappiano già tutto quel che serve per trovare se stessi.
Ora sono trascorsi ventinove anni da quel giorno. Letizia si addormenta troppo tardi ogni notte, e si sveglia troppo presto.
Del suo percorso perde molti paesaggi e riesce a gustarne altri, impegnata com’è a difendere il suo quotidiano.
La sua capacità di osservare e sentire il mondo è però un dono vivo più che mai e le consente, anche contro la sua volontà, di scovare le imperfezioni, ancora e sempre a prima vista.
Ha finalmente imparato a dare un senso alla visione d’insieme, usando quei particolari stonati e macchiati come riferimenti certi, intorno ai quali costruire tutto il resto della sua prospettiva del mondo.
Ormai donna e madre, ha finalmente imparato a dare un senso alla visione d’insieme, usando quei particolari stonati e macchiati come riferimenti certi, intorno ai quali costruire tutto il resto della sua prospettiva del mondo.
È davvero buffo come non abbia mai smesso di pensare a quell’albero ed è strano come sia riuscita a diventare esattamente come lui: esposta con la sua anima, nuda per metà, ad ogni sorta di umana emozione ed influenza ambientale… radicata, per la restante parte, ad una densa consapevolezza dei propri sentimenti e degli slanci di entusiasmo verso le cose della sua vita.
Quel suo sentiero, camminato a piedi nudi, pietra dopo pietra, l’aveva messa tante volte a dura prova, facendole infine crollare quasi del tutto il piccolo cumulo di terra su cui aveva creduto di poter contare.
Eppure quelle radici impertinenti si ostinavano ad aggrovigliarsi tra loro, ad avvinghiarsi con forza di volontà a cause ed effetti personali. Quei legami con la terra restavano sfacciatamente esposti eppure si facevano bastare il nutrimento di quell’unico lato intriso di nutriente linfa.
Letizia aveva pochi amici ma buoni. Anime scelte per istinto e liberamente amate e curate per i loro difetti più nascosti.
In ogni caso, lei stava benissimo da sola e non si annoiava mai, o almeno così le sembrava, o almeno non aveva voglia di lamentarsi.