La primavera di noi mortali
È inutile girarci intorno, per me non è primavera se non la sento addosso, sui capelli, tra le mani ma, soprattutto, se non dona alle mie labbra una curva costante, una sorta di sorriso bonario che se ne resta appollaiato sul viso mentre la pelle diventa antiaderente e i problemi mi scivolano addosso. Dopo un lungo mese di piogge qui a Lisbona, finalmente è uscito il sole. Ci pensavo mentre mi accarezzavo i capelli appoggiata ad un muretto qualsiasi, lasciando che il calore sciogliesse i dolori, attenuasse la mia sensibilità, mi facesse sentire un po’ meno. Perché chi sente troppo finisce per soffrire, per portarsi i dolori degli altri tra le scapole, dietro le palpebre. E se una cosa rimane incastrata dietro le palpebre o alla bocca dello stomaco non te ne liberi più. Al massimo impari a conviverci. Ma oggi è primavera e sento solo la vita che mi scorre intorno. Scorre come linfa anche se non siamo rigidi e nodosi come rami. Scorre nel ventre della donna incinta che mi siede accanto, nelle nuvole leggere che mi passano sui pensieri senza soffermarsi neanche un po’, scorre anche ai tavolini di questo bar, mentre esala lenta dal fumo della sigaretta che quest’altra donna stringe tra le dita. È primavera e ne sento gli odori, non quelli della natura, sono odori casuali in cui mi imbatto.
È la primavera dei comuni mortali, di quelli che si portano poesie addosso senza saperlo, senza volerlo.
L’ho capito solo oggi che era primavera, quando mi sono sopresa lenta e deliziata dalle abitudini altrui. Una spettatrice silenziosa con parole che fanno a pugni nella testa, mani che vorrebbero disegnare ma non lo sanno fare, e finiscono per modellare contorni con parole, virgole e descrizioni che colorano, sfumano, calcano, rovinano, aggiustano, creano e distruggono completamente. Oggi creo giardini di persone con queste parole. È la primavera dei comuni mortali, di quelli che si portano poesie addosso senza saperlo, senza volerlo. Una stagione senza solstizi né equinozi. Comincia quando il primo fiore sboccia da qualche parte tra l’incavo del collo e le fossette sulle guance e non conosce fine, solo pause, solo momentanei inverni, perché anche la pioggia serve.
Finisco questo caffè e torno su, un’ultima occhiata a questo raggio di sole che illumina il mio giardino di persone. Sì, è proprio perfetto.