Verdi, Busseto e il Rigoletto
Il Rigoletto, Busseto e le terre verdiane generose lussureggianti e sconfinate.
Assistere ad un’opera del genio di Roncole per i melofili è un’esperienza che bisogna fare. Non si può prescindere dal compositore emiliano senza attraversare l’uomo, le sue opere, il mito e le sue terre.
Mi accoglie una “bassa” luminosa che solo all’occhio del viaggiante distratto sembra uguale a se stessa. Il mio percorso interiore attraversa il museo, i sapori emiliani decisi e ha il suo completamento la sera all’opera. Arrivo in largo anticipo; posso così sbirciare dietro le quinte e respirare insieme ai protagonisti l’attesa e la preparazione.
Guardare i volti dei cantanti che palesano una calma solo apparente, partecipare alla trepidazione del regista, quella davvero malcelata anzi candidamente espressa. Alessio Pizzech sa che il suo Rigoletto sarà giudicato da un pubblico severo e arroccato sulle tradizioni. Io stessa faccio fatica ad assistere ad un ulteriore ennesimo allestimento di una delle opere della trilogia popolare che per me ha un significato emotivo particolare. Libero la mente dai “miei amati Rigoletti” perché voglio respirare aria nuova e ho scelto di farlo proprio da qui, quasi per intraprendere un percorso di bonifica dei ricordi ri-cominciando da Rigoletto e ri-cominciando da Busseto.
Le ballerine mettono le parrucche colorate di giallo, rosa azzurro e arancio. Non mi scandalizzo a vedere il trucco marcato, ho fiducia nel genio creativo di Alessio Pizzech. So che non tradirà le mie aspettative ma soprattutto non tradirà l’essenza del libretto e della musica.
Il mio posto nel piccolo teatro è in prima fila, da lì posso sentire i respiri del direttore d‘orchestra. Il preludio dà inizio alla “realissima finzione”. E poi i volti dei grandi cantanti del passato mentre il nostro Rigoletto Stefano Meo giganteggia sul palcoscenico. È solo Rigoletto con la sua difforme fisicità e con il suo segreto amore paterno.
Una scenografia essenziale dove rivive l’interno del teatro attraverso i pannelli di Davide Amadei che ci proiettano nella dimensione drammaturgica di Ionesco del teatro nel teatro.
Il pubblico capisce subito che sta andando in scena la commedia della vita. L’omaggio alla tradizione lirica viene sottolineata dall’uso dei costumi storici di tutti gli artisti tranne che del protagonista. Il quale, dismesso l’abito da clown, con la sua valigia, è uomo del nostro tempo, perché i sentimenti di amore, odio e vendetta sono eterni. Recita la sua romanza Gilda imbeccata da una Giovanna anche lei sospesa nel tempo.
“La donna è mobile qual piume al vento muta di accento e di pensier!”
Solita vecchia storia quella della condizione delle donne-oggetto che ha il suo apice nel femminicidio. Le ballerine danzano con gesti attenti e curati, dalla splendida Isa Traversi la sofferenza della donna usata e abusata mentre il coro maschile assiste distratto e mascherato.
Un cast giovane qui a Busseto per un’opera consegnata alla storia del melodramma da illustri artisti.
Poco m’importa delle così detta finitezza di canto io amo far cantare le parti come voglio io: però, no posso dare né la voce né l’anima né quel certo non so che, che dovrebbe chiamarsi SCINTILLA, e vien comunemente definito colla frase ”aver il diavolo addosso”
(Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi 1871)
Alessio Pizzech ha acceso la scintilla dell’arte in ogni interprete e nel pubblico. Rispettando la tradizione verdiana del teatro musicale ha costruito uno spettacolo “vero”.
Rigoletto, Busseto, Verdi.
L’altra sera mi sono riconciliata con i miei fantasmi vivendo l’emozione di un nuovo Rigoletto. Certo, confesso, il duetto finale l’ho ascoltato ad occhi chiusi ma è l’unica debolezza e omaggio ai “miei Rigoletti” che mi sono concessa.