Ragiona come parli!
Di solito si dice Parla come mangi!, ma secondo ricerche ormai battute e dibattute nel corso dei decenni, sarebbe il caso di dire Ragiona come parli! Pare infatti che la lingua che parliamo influenzi notevolmente la nostra visione del mondo, determinando tratti di personalità e atteggiamenti esterni spesso confusi come semplici stereotipi.
Che in finlandese ci siano oltre 40 termini per definire la neve e che i cinesi ne abbiano altrettanti per dire riso o soia è abbastanza scontato: più abbiamo esperienza di un oggetto, più troviamo parole per denominarlo. Perché, come questa rubrica spiega, un oggetto non è mai solo un oggetto.
La lingua però agisce più nel profondo, addirittura anche permeando la mentalità di chi la parla. Si dice tanto che gli italiani gesticolano mentre conversano, ma fateci caso: il nostro idioma è molto più ricco e articolato, molto meno sintetico per esempio dell’inglese, quindi è ovvio che i gesti servano ad accompagnare un’interlocuzione che altrimenti non lascerebbe fiato all’oratore.
I tedeschi tendono a unire tutte le parole in una sorta di ordine inverso. Per esempio il numero 21 è einundzwanzig (cioè unoeventi), ospedale è Krankenhaus (malaticasa), ma ci sono termini molto più complessi che conglomerano più parole, tipo Geburtstagssprüche (nascitagiornoauguri, cioè auguri di compleanno). Questo paradigma linguistico, che si rispecchia anche nella struttura della frase, con il verbo sempre al secondo posto cascasse il mondo (o quasi), rimanda, secondo alcuni semiologi, alla mentalità rigida e calcolatrice dei tedeschi. Stiamo ovviamente parlando di generalizzazioni, perché Goethe, Friedrich e Beethoven erano tedeschi e avevano di certo l’arte e la creatività insite nell’animo, prima ancora che il calcolo.
I cinesi non hanno un verbo specifico che rimanda al futuro, perciò, secondo alcuni studi, sarebbero del 30% più propensi a risparmiare rispetto a popoli che possono definire il domani e quindi lo vedono anche come più lontano. Ma pensiamo invece ai francesi, che usano tantissimo la forma impersonale: on va à salir! (si esce!) al posto dell’inglese let’s go! (andiamo!). Ed è un po’ la stessa cosa che avviene in certe regioni italiane. I toscani usano tanto l’impersonale: “Noi si fa così” al posto di “Noi facciamo così”, al Nord si tende molto più a usare il pronome io davanti al verbo, anche quando non sarebbe necessario, come per sottolineare un maggiore individualismo, testimoniato anche dall’esigenza di mettere l’articolo determinativo davanti ai nomi propri (La Marta, il Matteo…).
Gli spagnoli e gli italiani dicono “El vaso se es roto” e “Il vaso si è rotto“, puntando più l’attenzione sul fatto (povero vaso, per intenderci!), mentre gli inglesi dicono “They broke the vase“, ponendo l’accento sul soggetto che ha commesso il misfatto.
E i bilingue? È stato studiato che queste (fortunatissime) persone hanno meno remore nell’esprimere ragionamenti cinici o comunque poco etici in quella che non è la loro lingua madre, mentre usano quest’ultima per contare, in quanto l’utilizzo del calcolo implica un livello di controllo maggiore che deve lasciare disinibite le altre energie linguistico-cognitive.
Poi non dite che la parola non è un oggetto affascinante!