Tirare le somme
Tirare le somme è un’attività veramente faticosa. Ti devi sedere a tavolino con te stesso e dire: Ok, caro me stesso, siamo d’accordo con tutto quello che ci è successo quest’anno? Siamo contenti della persona che siamo stati? Siamo soddisfatti di quello che abbiamo imparato? Caro me stesso, hai presente la mensolina del bagno?
Ma soprattutto, caro me stesso, hai preso atto che i “venti” sono finiti e che sei nel mezzo dei “trenta” e che pure che dicono che i trenta sono i nuovi venti, tutto ciò non è affatto vero?
Caro me stesso, hai notato che prima c’erano le serate in discoteca quasi tutte le sere e ora regna incontrastata la dittatura di Netflix? D’accordo, non tutte le sere. Alcune sere vai direttamente a letto alle 22.30 e stupidi ragazzini del piano di sotto volete abbassare la musica che c’ho mal di testa? Grazie.
Però, caro me stesso, hai notato anche quanto ci tieni a farti rispettare? Magari prima ti capitava di abbozzare e di non avere la risposta subito pronta e magari arrossivi e basta. Ora capace pure che tu non abbia la risposta subito pronta però non abbozzi, al massimo ti assicuri di avere un destro formidabile così puoi sconfessare il detto “Ne ferisce più la lingua che la spada”.
Caro me stesso, hai presente quella stupida signorina dell’erboristeria? Quella che ha un sedere che sembra di marmo e che ogni volta che ti vede ti mette i campioncini di una crema antirughe nel sacchetto e che ti dice “Oh, ma dai! Davvero hai trent’anni? Te ne davo ventiquattro!” Guarda quanto sei diventato maturo, me stesso, non la prendi a calci e non le dici che la odi. Anzi, già che ci sei, mi butti dentro pure due campioncini di flavonoidi, sai non vorrei che tra un paio d’anni mi venissero le vene varicose.
E poi, caro me stesso, c’è quella brutta faccenda per cui mentre prima la sedia della tua stanza era il tuo armadio preferito, ora la mattina ti capita di sistemare tutto e di guardare compiaciuto l’ordine che hai fatto. L’ordine. Una parola che odora di vecchio. Di qualcosa invecchiata almeno trent’anni.
Però nel gioco del tirare le somme di buono c’è questo. Che ti rendi conto di quanto sia tutto relativo. Oggi hai imparato che la serata in discoteca era una cosa figa, però stare sul divano con l’uomo della tua vita e un paio di gatti sparsi qua e là è il coronamento di un sogno; hai capito che un giorno di sole è un’ottima scusa per andarsene in giro per parchi. Dopo aver steso un paio di lavatrici. Hai capito che la fretta non serve a niente e che c’è tempo per fare tutto quello che ti sei ripromessa. Hai capito che essere una persona migliore è il regalo più bello che fai a te stesso.
Poi, fuori retorica, hai capito anche un’altra grande verità: che se vivi in India l’unico posto dove potrai mettere i pantaloncini è dentro casa. Ma se ci sono quarantasei gradi e i pantaloncini sono molto corti, la pelle delle tue cosce rimarrà per sempre incollata alla pelle della sedia su cui ti sei accomodata per scrivere due righe di riflessione. E non servirà a nulla continuare a scrivere perché non è la scrittura che ti permetterà di compiere in modo indolore un’operazione barbara. Ovvero alzarsi di scatto e prendere atto che, come il direttore di Fantozzi, ora hai una bellissima sedia di design foderata in pelle umana. Ouch.