Te lo (de)scrivo io, il Libano…! #2
Il Libano raccontato con le parole che i libanesi stessi storpiano, lasciando trasparire le tracce del passato, delle tendenze presenti e delle aspirazioni future….
Continuiamo con la seconda parte dell’intervista a Déborah Phares.
Chi si fosse perso la prima, può trovarla QUI.
Il plurilinguismo in Libano e la creazione di nuove parole è qualcosa che riguarda soltanto i giovani? O solo la gente abbastanza colta da poter « giocare » con la sintassi? I libanesi sanno sempre l’origine francese corretta dei neologismi che usano?
Tutte le classi sociali mescolano le lingue! Non è questione di cultura, quanto invece di praticità e rapidità di comunicazione. Esistono vari livelli di deformazione, ne parlerò nel mio secondo libro. Giusto per fare un esempio: ci sono deformazioni dovute all’ignoranza, come il noto « Bomor » che sta per « Point mort » in francese, ma anche quelle dovute alla fusione grammaticale come « Ballerinéta », dove al termine francese che indica le scarpe si aggiunge il « – ta », suffisso che in arabo indica l’aggettivo possessivo. Ci sono poi parole entrate nel nostro vocabolario da talmente tanto tempo che non ci rendiamo neanche più conto che la loro origine non è araba, come ad esempio « Rawché », simbolo nazionale che viene dal francese « rocher ». Ci sono poi dei fenomeni di tendenza in cui i libanesi, per gioco, personalizzano nomi come « Bisouyét », dove dal francese « Bisou », bacio, si crea il plurale utilizzando il suffisso arabo, oppure « Missik » dove, al verbo inglese « to miss », con il suffisso arabo « -ik » andiamo a definire che parliamo di una donna (« -ak » nel caso di un uomo, nda).
Eppure c’è chi preferisce parlare solo in inglese o solo in francese. Quale differenza riscontri fra queste attitudini?
Penso che per una grande fetta della popolazione libanese, parlare una lingua unica e pura è un’impresa ardua! Mescolare è una cosa talmente radicata da entrare a far parte dell’inconscio… Ovviamente i politici, i giornalisti, gli speaker non possono permetterselo, ma per il resto della gente è diverso, regna la libertà.
Che pensi delle giovani mamme che parlano in inglese ai figli?
Penso che sia più che giusto. Non sono fra i difensori incalliti della lingua araba. Mia madre mi ha sempre parlato in francese, ma ciò non vuol dire che non so parlare l’arabo e altre lingue. Amo la mia cultura e penso che passa in gran parte anche attraverso le lingue. Una delle condizioni principali della critica letteraria non è forse il fatto che si leggano in lingua originale? Le traduzioni sono approssimazioni. In più, così come le guerre influiscono sulla geografia mondiale ed alcuni paesi sono cancellati per far spazio all’apparizione di altri, o ancora, come nell’ecosistema terrestre accade con alcune specie, gli scambi culturali e l’evoluzione tecnologica influiscono sul linguaggio. È così ed è appassionante!
Dove vanno a finire però tutte quelle parole arabe che vengono sostituite dal loro analogo francese? Per esempio, non ho mai sentito dire « fragola » in arabo, anche in anni e anni di vacanze estive in Libano. E così anche molti altri gusti di gelato.
« Farawla » è il termine arabo per fragola, in linea di massima lo si sa ma non lo si usa perché « fraise » è più conciso e chiaro. Anche menu viene usato al posto di « la2i7at at ta3am ». La società segue semplicemente l’era in cui vive, quella di speed-date, microonde, Boeing, internet e app.
Trovo spesso nelle pubblicazioni dell’editoria libanese degli ultimi anni il bisogno fondamentale dei libanesi di tracciare nuovamente la propria identità. Anche in modo ironico, leggero, soprattutto attraverso le immagini, la forma di comunicazione più immediata. Quello che si evince è quindi un senso di urgenza. Che ne pensi?
Il più grande problema del Libano come entità politico-sociale è che, dalla sua nascita, non c’è stata alcune riflessione seria e condivisa circa l’identità del paese, dei suoi principi, della sua vision e della mission. Siamo in dissidio costante e in disaccordo sulla definizione stessa del Libano. Ecco perché siamo un paese debole e tormentato. In periodo di guerra, i giornalisti e i fumettisti non hanno tempo di riflettere sull’identità del paese, sono presi dai fatti d’attualità. Ogni volta che le cose si placano, ripensiamo alla questione dell’identità. Da qualche anno, e per la prima volta da decenni, la guerra resta fuori dalle nostre frontiere. In questa calma precaria possiamo permetterci di rimettere la questione dell’identità al centro tentando una riflessione comune. Vediamo anche un forte bisogno di unione nazionale per distinguersi dagli altri arabi. Ma credo siano fantasticherie, movimenti che resuscitano dal passato. Non abbiamo intrapreso un lavoro serio sulla nostra storia e quindi ci manca una memoria collettiva e un parere condiviso. Nel nostro paese, le confessioni religiose passeranno sempre prima del Libano come stato, perché sono più forti dell’identità nazionale pressoché inesistente.
Grazie mille della tua disponibilità, Déborah. Se hai qualcos’altro che vuoi raccontarci o aggiungere, hai carta bianca in quest’ultimo spazio.
Grazie mille per la tua intervista, è una delle poche volte che mi si fanno domande intelligenti! Penso che tu abbia un bel futuro davanti, sei una persona professionalmente seria e ti auguro il meglio.
Ringraziando anche io Déborah Phares, lancio a tutti voi l’invito ad andare a conoscerla meglio grazie al web e chissà, magari prima o poi anche dal vivo!
Ringraziamo Déborah anche per le altre immagini che ci ha regalato, sempre legate alle « libanesizzazioni » di alcuni termini italiani…