Oh Capitana, mia bella Capitana!
In terza superiore ancora odiavo la letteratura. Magari non la odiavo proprio, ma sicuramente non avrei mai speso una lira per comprare un libro. Non leggevo nemmeno i giornali, a dire il vero… Avevo alcuni libri che parlavano di letteratura, ma erano scolastici, pieni di segni e scarabocchi e pagine mancanti. Oggi, vedo, i ragazzi usano lasciare il loro nome e numero di cellulare sui libri di scuola. Non si sa mai che una tipa poi chiami.
Quell’anno avevamo un professore di italiano molto severo, rigoroso, puntiglioso, che mandava Dante a memoria. La terza era l’anno dell’Inferno, e con lui iniziammo quel viaggio che a me sembrava di una noia mortale. Nel mezzo del cammin di nostra vita a sedici anni ti pare subito una boiata pazzesca. Un giorno, all’improvviso, ci dissero che il Profe se n’era andato, non ricordo bene per quale motivo. Credo avesse accettato un incarico meglio pagato in una prestigiosa scuola privata.
Francesca vestiva una gonna rossa e sicuramente portava uno scialle giallo avvolto attorno al collo.
Non ci chiese cosa avessimo fatto, dove eravamo arrivati col programma, o cosa ci aspettavamo da lei. Ci prese e portò in giardino. Comportamento vietatissimo, in quell’istituto. Quell’ora volle spiegarci a modo suo cosa significassero le parole «poesia» e «letteratura». Ascoltammo i suoni della natura, il lento procedere del tempo, il passaggio di un passero, il movimento delle foglie e chissà cos’altro facemmo, quell’ora, la prima ora con lei.
Ci prese e portò in giardino.
Ci raccontò molto della sua vita, ma nel frattempo le settimane passavano e il suo registro personale rimaneva completamente vuoto. Un giorno arrivò il turno di Machiavelli, che lei scrisse alla lavagna come «Macchiavelli». Nessuno osò farle notare l’errore. Alla fine della lezione, uscì dalla classe, entrò il suo collega e subito dopo ripiombò davanti alla lavagna e con una spugnetta cancellò la ci di troppo. Girandosi verso di noi, disse:«tutti sbagliano, anche Machiavelli, è che forse qualcuno avrebbe dovuto dirglielo, come voi con me». Rimanemmo di sasso, e francamente ci ho messo anni a capire il senso di quel piccolo show. Semplice: fermare chi commette un errore, subito!
Se penso che una mezza pagina di libro è in grado di contenere l’Infinito di Leopardi, mi vengono i brividi.
Boicottai quella manifestazione e rimasi in classe, solo, anzi con Francesca. Era un sabato. Parlammo della sua città, Bologna, nella quale ero stato l’anno prima per il Motorshow. «Se domani hai tempo, in giornata andiamo e torniamo. Ci vieni con me?». «Sì», risposi, e il giorno dopo partimmo per Bologna a bordo di una Lada, assieme a un San Bernardo, un gatto, un uccellino e un criceto. Animali che a turno durante le lezioni ci chiedeva di portare un poco a spasso. La macchina non era sua, così come gli animali. Mi spiegò che possedere tanti oggetti danneggia la possibilità di interagire con il mondo. Quindi, lei, per modo di dire, era anche un’animal sitter.
Parlava solo lei, ed io ascoltavo. Viaggiavamo dalla poetica siciliana al futurismo italiano, fino alla Beat, avanti e indietro, come quelli che al bar parlano di calcio e un momento è l’ultima domenica e un altro «ma ricordi Rivera quando…», e lo fanno per ore, per poi ricordarsi che hanno anche una moglie a casa che aspetta.
possedere tanti oggetti danneggia la possibilità di interagire con il mondo
Io nemmeno sapevo chi fosse Umberto Eco, quindi, non lo salutai.
Dopo qualche giorno, Francesca venne cacciata dalla scuola. A sostituirla, un tal Bembo di Firenze, il quale non trovò di meglio che ironizzare sulla supplente che lo aveva preceduto. Gli dichiarai guerra, fino a un pomeriggio, quando me lo ritrovai nei pressi della scuola con le lacrime agli occhi. Su una gradinata raccontò della sua vita. Una lezione per me, spocchioso: dietro a una persona che ti tratta male c’è sempre qualcuno che soffre. Per questo motivo bisognerebbe sviluppare la dote della pazienza. Lo avessi solo applicato un pochino nel corso della mia vita… Comunque, Francesca se ne era andata, senza lasciare traccia di se, e senza nemmeno salutarci.
Francesca mi aveva risposto, proprio in quei minuti.
Ci siamo dati appuntamento, e nei prossimi giorni andrò a trovarla. Ovviamente, mi farò prestare la macchina da un amico; con me porterò la mia maltesina e quel libro con l’Infinito a pagina 234, ancora piegata.