Il tempo della scienza
Il tempo della scienza è alquanto bizzarro. Se vi scappa di dire: Arrivo tra un secondo, non immaginate che questa pars minuta secunda, come la chiamavano i latini, si definisca con 9.192.631.770 vibrazioni del cesio 133. È la misurazione più precisa disponibile oggi in natura. Tuttavia ci siamo affannati a cercar di misurare al deci-miliardesimo qualcosa che neppure conosciamo. E che per molti è solo una illusione. Difficile da credere, visto che una delle nostre frasi più comuni, colme di rammarico, recita: Purtroppo il tempo passa per tutti.
Il tempo è associato all’usura delle cose, alla vecchiaia. C’è una visione fisica, o meglio dei suoi effetti, del tempo. Se così fosse, concediamoci un assurdo, vorrebbe dire che il tempo trascorso (?) ci ha portato solo tecnologia, non conoscenza o verità.
È vero, a parte il fatto che già Zenone di Elea, duemilacinquecento anni fa, aveva notato che la freccia non raggiunge mai l’obiettivo perché essa è sempre ferma in ogni punto, visto che lo spazio è divisibile in infinite parti. Quindi questi millenni, trascorsi nel tentativo di capire in quale mondo viviamo e le sue regole, ci riportano indietro.
Non a caso Bertrand Russel definì i paradossi di Zenone smisuratamente profondi e sottili. Se così fosse, concediamoci un assurdo, vorrebbe dire che il tempo trascorso (?) ci ha portato solo tecnologia, non conoscenza o verità. Il nostro essere già è stato e già sarà. Forse solo una “perdita” di tempo. Un modo insolito per smarrire la mente, senza neppure una canna.
Un buon affare a basso prezzo.