Quale Unione?
Ellie mi telefonò nel 2012, dopo anni di silenzio, da Damasco. Mi disse che era triste per la Siria, ma che lo era anche per l’Europa. “Voi non ve ne rendete conto. Passeranno per la Turchia e ce li avrete in casa. Piangeremo per voi, perché per noi l’Europa è e rimane un sogno”. Lo tacciai di fatalismo, nel modo comunque più delicato possibile, perché alla fin fine il suo Paese stava in guerra. Le invettive contro la comunità internazionale, “La Nato e l’America e tutti gli stati alleati” non vennero accolte con la dovuta attenzione perché, mi dicevo, deve stare sotto stress, il pessimismo viene con la guerra.
Mi ci sono voluti 4 anni per credergli. Ora si parla di attacco all’Europa (dimenticando che il cosiddetto terrorismo islamico, statistiche alla mano, miete più morti in Asia ed Africa che non nel vecchio continente) ed io mi chiedo: ma quale Europa?
Si usi un po’ di obiettività, e si ammetta che il sogno europeo di Altiero Spinelli e compagni ha fornito basi ideologiche per la creazione di condizioni politiche ed economiche favorevoli alla salvaguardia degli interessi di una classe dirigente miope, presuntuosa ed avara. L’unione che trova ispirazione nel principio di libera circolazione di persone, beni e capitali, sancita dal Trattato di Schengen, ha fallito. Nonostante l’implementazione di programmi studenteschi come l’Erasmus e il Leonardo, non si sono sapute creare la coesione e l’unità sociale e identitaria auspicate. Perché, che lo si voglia vedere o meno, una sostanziale cultura europea ancora non esiste. Facendo la spola tra il Medio Oriente, Venezia, Berlino, Londra e poi Stoccolma me ne sono accorta: ho più in comune con gli arabi che non con gli inglesi o gli svedesi. E per note ragioni di natura storica.
La divisione esiste ed è palese, tirata in ballo spesso per ragioni di comodo. Che gli stati europei con un’economia ancora funzionante preferiscano nascondersi dietro ai rispettivi confini quando fare fronte comune parrebbe la risposta più sensata a problemi di natura generale lo si è visto ad esempio con la gestione dell’immigrazione (clandestina e non), alla quale l’Europa si è decisa a prestare attenzione solo oltre un decennio dopo l’intensificarsi degli sbarchi sulle coste di Italia e Grecia. Per anni i Paesi del sud d’Europa sono stati lasciati soli ad affrontare un’emergenza che di nazionale ha ben poco, servendo come prima linea di assorbimento (ma anche di resistenza) per frotte di disperati che, é indubbio, più che contribuire alla crescita delle illuminate civiltà del nord ne avrebbero messo a dura prova il sistema di welfare.
La mancata coesione è una triste realtà anche nell’ora in cui (nuovamente con estrema lentezza) l’Europa tenta di far fronte al terrorismo.
Il professor Marco Lombardi dell’Università Cattolica di Milano, col suo staff di ricercatori, ha lavorato per anni su Smart Ciber, un sistema informativo per la sicurezza urbana che permetterebbe di far convergere in tempo reale informazioni utili ad identificare zone a rischio (e per zone a rischio si intendono anche le aree penalizzate da servizi pubblici ed infrastrutture carenti) ed intervenire in modo tempestivo ma soprattutto preventivo. Il progetto ha subito una battuta d’arresto non appena i fondi europei sono terminati. «Sono stufo di fare ricerca fine a sé stessa aspettando che arrivino nuovi soldi per un’altra ricerca uguale. Il sistema è pronto da due anni, serve la la volontà politica». Che evidentemente manca. Altri membri dell’Unione versano in condizioni che ugualmente impediscono di dare respiro europeo a questo progetto. La condivisione delle informazioni tanto invocata dagli esperti di antiriciclaggio e antiterrorismo è una chimera, sottolinea il professor Lombardi. “Chi parla di intelligence europea sta sognando”.
Si parla di guerra all’Europa, ma si tace quanto supporto od omertosa complicità abbiano dimostrato gli stati europei verso l’aggressività della politica estera statunitense degli ultimi decenni, legittimata da una ridicola filosofia di “necessaria esportazione della democrazia”.
Nel 2003 abbiamo marciato a milioni a Roma, per dire no all’intervento militare dell’esercito italiano in Iraq. La capitale è stata letteralmente invasa da manifestanti provenienti da tutta Italia, mentre la polizia minimizzava sulla cifra dei partecipanti e i media tacevano o ridicolizzavano l’iniziativa. A luglio dello stesso anno iniziava l’operazione di “peacekeeping” (che in inglese vuol dire “mantenimento della pace”, eh già) Antica Babilonia ed io imparavo la mia prima triste lezione di cittadina: lo Stato non rappresenta il popolo, nemmeno quando il popolo solleva la propria voce tanto forte da non poter essere ignorata.
Nel post 11 settembre, mentre la stampa si riempiva la bocca di Al Qaeda, Bin Laden, estremismo islamico e jihad, dividendo per l’ennesima volta i morti in categorie, io studiavo l’arabo, la storia, la cultura, la filosofia dei Paesi arabi e islamici. Viaggiando tra Siria, Palestina ed Egitto, mi resi conto che la distanza (geografica e pur anche culturale) tra i paesi che confinano col Mediterraneo è irrisoria. Eppure i paesi europei, mossi dalla cupidigia, si sentivano legittimati a sostenere politiche di violenza ed invasione militare ed economica in Medio Oriente, tra l’altro ignorando (forse volontariamente) che secondo il terzo principio della dinamica, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Amici, fratelli europei. Non stupitevi se ora siete voi a tremare di paura, se ora siete voi a provare cosa vuol dire andare al lavoro e non sapere se si farà ritorno a casa la sera, a temere per i propri figli, per la propria terra. Gli amici, i fratelli arabi questa sensazione l’hanno provata per decenni. Ancora la provano.
Penso ad Hassan e Bushra, adolescenti incontrati in Siria nel 2006, nelle case alveare di Suruj e mi chiedo se ancora vivano, cosa abbiano dovuto soffrire, se ce l’abbiano fatta. Penso a una madre senza nome, che mi chiese di spedirle una foto che avevo fatto al figlio di 2 anni nell’oasi di Palmira quella stessa estate. La foto non la inviai mai, ma nel frattempo Palmira è stata assediata dall’Isis e (notizia di qualche giorno fa) riconquistata dall’esercito siriano. Penso agli amici di Damasco, a quelli che sono rimasti a resistere, a quelli che soffrono in esilio. Francamente di terroristi non ne ho conosciuti. Ho conosciuto gente molto simile a me, tutte vittime delle politiche dei loro stessi governi.
Cammino per le strade d’Europa, cittadina di non so più quale paese, e so per certo (lo so da anni) che le genti d’Europa vivono un’illusione che costerà loro molto cara.
Ellie mi telefona dopo anni. Ci tengo a dirgli che ora gli credo, che ho pensato a lungo alle sue parole ed aveva ragione. Al mio “Come stai?” risponde così: “Noi facciamo del nostro meglio. Ho iscritto mia nipote al club, ogni settimana la porto a nuotare. Non si sa mai, bisogna essere pronti”.
Ma tu, Europa, come ti salverai?