Lettera ad una professoressa
No. Non la raccolta di Don Milani. Questo è un messaggio che non vuole nemmeno essere recapitato al destinatario, ma semplicemente uscire da una mente confusa, colma di pensieri, parole, emozioni filtrate e mai completamente provate. Non è un’accusa, non una critica. Non è la risposta ad un’offesa e nemmeno una reazione secondaria. Forse non è una lettera, non è la stesura coesa di pensieri ponderati, è solo un’accozzaglia di parole buttate a caso; in fondo, come mi ha detto: scrivo con i piedi.
Quante cose posso fare io con i miei piedi, Lei non lo sa. A parte avere le dita prensili, e nei miei momenti di pigrizia usarli come pinze per raccogliere oggetti da terra, per non dovermi piegare sulle ginocchia testate dal peso delle mie anche aggiustate, ma costantemente dolenti, con i piedi c’è una cosa che faccio da molto, molto tempo: cammino. Camminando scrivo la storia della mia vita su percorsi più o meno scoscesi, un po’ come farebbe la puntina di un giradischi sui solchi di un disco di vinile. Con i miei piedi entro nella vita delle persone, lascio orme che a volte restano indelebili e in altri momenti vengono semplicemente cancellate, come quelle evanescenti che compaiono sul bagnasciuga e subito vengono lavate via dall’ennesima onda. Fare qualcosa con i piedi, come usiamo dire in italiano, significa porci poca attenzione ed eseguire un lavoro approssimativo e, sarò sincera, spesso e poco volentieri, mi ritrovo a dover svolgere compiti che non mi aggradano, che sono completamente estranei al mio modus operandi, che non vanno d’accordo con la mia filosofia di vita, ma che per il compromesso al quale ho dovuto cedere, devo compiere ugualmente. Allora sì, in questo senso posso dirLe che mi limito a fare quello che mi viene detto anche se il più delle volte, la mia anima anticonformista e ribelle non può esimersi dal venire in superficie ed interagire con il risultato finale.
Sa? Affrontare il tema di come “dire la verità alle autorità, alle persone di potere” è, per me, un’aporìa. Vede come imparo bene dai corsi che mi insegnano qualcosa? L’autorità nel mio vocabolario mentale non esiste. Sono una “daltonica di parole“, e significa che in certi termini non vi vedo alcun significato. Il potere non assume alcun peso nella mia concezione di sistema di cose. Come si può studiare cosa dicevano antichi autori sul tema, se nella mia mente il concetto non esiste né resiste? Sarebbe come chiedere ad un cieco di descrivere un quadro dalla prospettiva visuale. Lo potrebbe fare certo, se gli venisse descritto da qualcun altro, potrebbe sicuramente raccontarci il suo commento, le sue sensazioni, ma sarebbero poco tecniche e poco obiettive. Lui, i colori, non li vede. Io certi significati, non li vedo. Non come voi. Per affrontare temi come il parlare di politica, di autorità, di prese di potere, di riconoscimento di quest’ultimo per affrontarlo e poterlo confrontare, affrontare, discutere, dovrei possedere una facoltà che non ho. Fatelo pure voi che siete capaci e fatelo bene. Io non riconosco alcuna forma di potere, non riconosco alcuna autorità, né la mia, né la sua, né quella di nessun altro.
Non creda di essere l’unica ad avermi misurata, calcolata, ripresa, criticata. Accadeva già alla scuola elementare. Ero la più piccola eppure mi ero adattata bene con la classe, anzi, scrivevo “come una persona grande” e quando all’ennesimo commento “devi smetterla di farti fare i compiti dalla mamma!”, avevo risposto che quel tema lo avevo scritto io, la maestra aveva esordito con un “ma allora sei deficiente! Questa non è farina del tuo sacco” e in quel momento, imparavo anche il significato di questa espressione che da allora non mi è più stata simpatica. Non sono Shakespeare, James Joyce o un qualsiasi altro nome conosciuto dell’ambiente letterario internazionale, e sinceramente, non mi interessa esserlo. Sono io, scrivo come voglio, quando voglio, se voglio. Pensa che il modo in cui Le sto scrivendo ora sia quello che mi appartiene? Pensa che lo “stile” che non ho e con il quale scrivo le mie ricerche e presentazioni, sia il modo in cui esprimo realmente i miei pensieri? Pensa che su questo blog facciunsalto.it mi esprima come parlo, e non dovrei? Cosa pensa? Siate liberi, gente! Di pensare ciò che volete, e anche Lei.
A Walt Disney avevano detto che mancava di immaginazione e che sarebbe stato un fallito, a Elvis che non sapeva cantare e che sarebbe dovuto restare un camionista, Darwin e Einstein erano tacciati di limitato intelletto fino a quando, be’ conosciamo la storia, e non per paragonarmi a questi grandi personaggi, per carità, ma questo per ricordare a tutti, che i giudizi e i commenti delle persone, spesso, non valgono nulla. Senti da che pulpito, direbbe qualcuno! Io che, dei giudizi altrui, ne ho fatto una malattia, ma come vede, le persone cambiano. Cambio anch’io, ovviamente, e forse quando sarò “grande”, mi interesserò veramente di ciò di cui apparentemente dovrei, secondo alcuni, occuparmi ora. Nel frattempo, se non Le dispiace, faccio ciò che mi riesce meglio, in una scala di valori in cui “meglio” significa che mi sono semplicemente limitata ad eseguire degli “ordini” mascherati da consigli ben celati.
Il mondo è in declino, gli animali vengono sventrati, maltrattati, uccisi per degli esseri umani parassiti di una terra inferma, la coscienza delle persone è infettata e malata, l’umanità è allo sbando. La gente muore Prof! Ho altro a cui pensare che imparare a scrivere in un modo che Le possa andare a genio, o a dirla tutta, che corrisponda a ciò che Lei considera valevole, chiaro, accademico, ma che per me è solo politica. E la politica, proprio intesa come la definisce il dizionario Treccani, a. La scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica, a me non interessa. Governare, ammistrazione, direzione… tutti termini che implicano un potere, un’autorità, come la chiama Lei, e una scala gerarchica. Valore zero. Io, per le scale, ci salgo e ci scendo come mi pare e mi piace, con quei piedi tanto amati (e odiati) con i quali, evidentemente anche, scrivo.