Baricco, Gwyn e le interruzioni
Ieri sera ero nella biblioteca del Literaturhaus a Monaco di Baviera per incontrare alcuni personaggi speciali. Taluni sono usciti da una penna, quella di Alessandro Baricco, e popolano la storia di Mr. Gwyn.
L’altro personaggio era li in carne e ossa, e lo rivedevo venti anni dopo l’ultima volta che avevo assistito a una sua lezione. Era proprio l’autore di Mr. Gwyn, Alessandro Baricco.
“Un giorno mi sono accorto che non mi importava più di nulla, e che tutto mi feriva a morte”
E’ con questa frase che Mr. Gwyn spiega ad una donna incontrata fuggendo in Spagna il motivo della sua più recente e incredibile risoluzione: interrompere per sempre la carriera di scrittore. Pure, proprio da questo “turn off” – come predice l’esergo di Valery – prende le mosse una storia che l’autore Alessandro Baricco rivendica essere profondamente londinese, maturata in una frequentazione abitativa della capitale anglosassone. Perché, ci rivela lo scrittore, a lui non piace affatto scrivere tipiche storie italiane. Le sue storie sono tutte altrove, non ci troverete alcun cliché sull’Italia di quelli che mandano in sollucchero la critica straniera.
Qui a Monaco ne veniva presentata l’edizione tedesca che di fatto raccoglie due libri, Mr. Gwyn e Tre volte all’alba, due prove successive e strettamente interconnesse di Baricco. Il secondo, che nella realtà è una raccolta di tre brevi racconti definiti dall’autore stesso “geniali” per l’ingranaggio di incastri che gli è riuscito di mettere insieme, nella finzione letteraria è l’unica opera di un ignoto autore indiano che vedremo essere strettamente legata a quelle dello stesso Mr. Gwyn.
Indubbio per me che Mr. Gwyn sia una delle migliori prove recenti di Baricco. La storia dello scrittore che fa pubblicare sul Guardian – quotidiano col quale è solito collaborare – una lista di cinquantadue azioni che non desidera più praticare da quel giorno in poi, compreso scrivere libri, porta in se tutti i migliori elementi della vena del suo autore.
L’ironia, l’attenzione per piccole cose eccentriche che diventano invece fondamentali per la narrazione. La creazione di personaggi weird il giusto che si mettono a fuoco proprio attraverso teneri, sfrangiati particolari. Un certo modo di parlare con simulata nonchalance delle emozioni più importanti nell’umano sentire.
Baricco concepisce le sue storie come luoghi dove andare a disperdere se stesso in molti elementi, non mai qualcosa di decisamente autobiografico ( intanto ci garantisce che non ha nessuna intenzione di smettere di scrivere, lui ) ma un nascondiglio. Nascondersi è per lui una motivazione dello scrivere.
Un certo modo di parlare con simulata nonchalance delle emozioni più importanti nell’umano sentire
“David Barber l’aveva cercato per proporgli di scrivere il testo di una sua Cantanta. Non se n’era fatto di niente ( era una cantata per voce registrata, sifone da seltz e orchestra d’archi ), ma i due erano rimasti in contatto. David era un tipo simpatico, aveva l’hobby della caccia, e viveva circondato da cani a cui dava solo nomi di pianisti, cosa che consentiva a Jasper Gwyn di affermare, senza mentire, che una volta era stato morso da Radu Lupu.”
Tuttavia è l’interazione tra Rebecca e Mr. Gwyn, di fatto i personaggi principali della storia, che fa dell’arte dell’interruzione un territorio fertile di nuovi inizi, svolte. La ragazza che Baricco riesce a descrivere senza abbellimenti del termine come “grassa”, con la sua fisicità fuori dai canoni della perfezione estetica porta con se quella che l’autore stesso ci rivela essere la sensualità elevata di questa storia, una storia che narra di come il corpo, il contatto corporeo, abbiano molto a che vedere con la scrittura.
Di Jasper Gwyn ci rimarranno impresse a mezzo di alcune frasi asciutte non solo le cose che non vuole più fare ma anche le nuove scelte:
…prendeva treni per destinazioni vaghe…
Gli sarebbe piaciuto fare il copista, non era un mestiere vero, se ne rendeva conto, ma c’era un riverbero in quella parola che lo convinceva…
Ritratti… non si tratterebbe di quadri. Vorrei scrivere dei ritratti… tutto il resto sarebbe come i quadri… lo studio, il modello, sarebbe tutto uguale.
Quello che aveva in mente di chiedergli non era soltanto una luce molto particolare – infantile, avrebbe spiegato – ma soprattutto una luce che durasse un certo tempo determinato. Voleva lampadine che morissero dopo trentadue giorni di funzionamento.
…prendeva treni per destinazioni vaghe…
E’ bastato sedersi lì, guardare il volto sornione di Baricco l’affabulatore, sentirgli scivolare la zeta di pazzesco, calcare la gi di geniale. Ridere di gusto delle sue boutade, riconoscere immutati i temi autoironici e la passione per certi particolari del vissuto di un uomo che potrebbero sembrare marginali ad altri ma nella sua scrittura acquistano il respiro lento e solenne dell’importanza. E’ bastato poco per avere tangibile l’impressione di stare sulle nostre seggioline a Corso Dante , per capirmi privilegiata di quel tempo torinese in cui Alessandro ci faceva dono della sua passione per le narrazioni e noi vivevamo immersi nella scrittura e nella vita culturale torinese.
era una cantata per voce registrata, sifone da seltz e orchestra d’archi
Prima l’interruzione del master dopo il primo anno, per passare ai corsi di scritture finalizzate. Poi una del tutto simile alla scelta fatta da Mr. Gwyn. Il posare la penna per quasi quindici anni e mettersi a fare altro.
Baricco mi confessa che è incuriosito dai percorsi affatto lineari che molti di noi alunni della Holden abbiamo affrontato usciti da là.
Forse qui sta il segreto, forse questo lui è riuscito a insegnarci davvero. Che la “cosa” che vogliamo fare sta sempre un po’ spostata di fianco, e l’arrivarci è fatto di affascinanti digressioni che poi ti portano naturalmente a comprenderla meglio. E a farla accadere proprio nel momento giusto.