Dell’arte e dell’anticonformismo creativo
“Perchè creare un’opera quando è così bello solo sognarla?”
Queste parole sono la chiusa di “Decameron”, celebre pellicola di Pier Paolo Pasolini. Mi è capitato spesso di sognare un’opera, nel mio caso erano note, melodia. Sognavo di essere al cospetto con un non meglio specificato “Signore delle tenebre” e lui mi parlava con la voce del sassofono di Coltrane in “Interstellar Space” (per chi non
conoscesse, rimando al nostro Tubo più amato). Quella voce è terrificante. Per rendere vagamente l’idea, provate a immaginare una colonna sonora coerente a uno a caso dei gironi danteschi. Un suono del genere lo accosterei, per sensazioni suscitate, al più terrificante degli incubi, quello che vi sveglia nel cuore della notte come un pugno alla bocca dello stomaco, lasciandovi la bocca secca e i pensieri corrotti per i giorni a seguire.
Non so con precisione quale fu la motivazione che spinse Coltrane a virare la sua arte verso quell’urlo viscerale e terribile (e non sono l’unica: équipe di ricercatori sono all’opera da decenni per capirci qualcosa), fatto sta che quelle note sono state marchiate a fuoco nella mia testa tanto da darle un nome, un aspetto fisico e un messaggio.
È a proposito di quel messaggio che voglio parlare. È cosa risaputa ormai che Satana, per noi poveri esseri dotati di inconscio e fantasia, equivale agli istinti più antichi e primordiali, capaci di esplodere, quando repressi, con una potenza tale da destare terrore. Coltrane ha razionalizzato e domato quella bestia ancestrale, dandole un suono, quindi una connotazione. Essere artista significa tramutare quei sentimenti e quelle attitudi della natura umana in creazioni concrete, che siano esse suoni, immagini o parole. Creare una misura che le contenga e allo stesso modo le lasci libere di esprimersi in tutte le direzioni possibile.
l’invidia, l’ira, l’odio sono sfoghi di sentimenti più profondi e degeneranti che, a differenza di una lucida riflessione, non creano alternative
Pensate a Pasolini e alla sua propensione verso temi e immagini ai limiti dell’umana sopportazione. Nella sua arte confluiscono senza remore blasfemia, cannibalismo, coprofilia, sodomia, incesto, zoofilia. Ogni aspetto della perversione è accettato e manipolato con tale grazia e maestria da rendere la sua arte cartartica e commovente.
Fare arte significa non provare ribrezzo per niente, perchè il ribrezzo ci allontana irrimediabilmente dalla natura.
Non credo nell’arte provocatoria perchè non credo che all’artista importi granchè del suo pubblico e di ciò che potrebbe pensare. I critici degli anni 70 avranno avuto un bel po da ridire su quelle ultime “stranezze” di Coltrane, per non parlare di quelli che ancora sbarcano il lunario scrivendo del “deviato” Pasolini. Pensate al Goya, ai gargoyles francesi e anche alla Commedia di Dante. Tutti hanno maneggiato senza timore quelle immagini di sangue e di terrore rinnegate e oscurate dalla societá. Fare arte significa non provare ribrezzo per niente, perchè il ribrezzo ci allontana irrimediabilmente dalla natura.
Dalla parte di noi poveri – e fortunati – fruitori di questo letame rigenerato, possiamo solo trarne il meglio. L’arte ci insegna che nonostante tutte le Giuditta che decapitano i loro Oloferne, le repubbliche di Salò e le urla strazianti di un sassofono, esiste e continuerá a esistere quella piccola cricca di cuori a loro modo puri e sensibili. C’è chi compie una scelta: mentre nel mondo la gente si odia e si uccide, c’è chi sceglie di restare chiuso nel proprio studiolo a scrivere di demoni e fiere infernali o a dipingere di quel conte che mangiava i suoi figli.