Siamo chi siamo
Conosci te stesso. Gnōthi seautón: conosci te stesso. Questa è la scritta che campeggiava sul pronao del tempio del Dio Apollo a Delfi, ripresa da Socrate e da altri filosofi. Fosse facile…
Molti secoli dopo, e molto più modestamente, ci ripenso mentre tento di adempiere alla richiesta dell’azienda per cui lavoro: autovalutarmi. Ossia analizzare e dare un giudizio alle mie prestazioni rispetto a mansioni e obiettivi assegnati. E poi, last but not least, farlo anche su aspetti meno quantitativi ma più soggettivi: i comportamenti, il potenziale, i valori incarnati nella vita aziendale. Insomma, per renderla in forma più filosofica, non solo cosa fai, ma anche chi sei. O chi potresti essere.
Conta quel che è. Non quel che avrebbe potuto essere e non è stato
Eh. Pare facile. Tutti pensiamo di sapere cosa abbiamo fatto e come lo abbiamo fatto. Sul lavoro, in genere tendiamo a sovrastimarci. A interpretare per eccesso i risultati raggiunti. E, più in generale, ad essere troppo ottimisti sul nostro famigerato potenziale. Salvo i casi, non infrequenti, di chi, al contrario, si butta giù e tende a svilire il valore del proprio operato e delle proprie capacità. Per tornare ai filosofi greci, la vecchia annosa questione aristotelica di atto e potenza. In atto, magari abbiamo fatto poco e maluccio; ma nelle giuste condizioni, potenzialmente, saremmo in grado di fare chissà che. Peccato che alla fine, in tutti i campi della vita, tutto ciò che non è dato è sprecato. Conta quel che è. Non quel che avrebbe potuto essere e non è stato.
E nella vita, a parte il lavoro? Come ci valutiamo sul piano umano? Cosa pensiamo di noi stessi come coniugi, amici, fratelli, o ancora, che immagine ci rimanda lo specchio quando ci guardiamo, anche e soprattutto in senso metaforico? Ci apprezziamo, ci disprezziamo? E la fatidica autostima? Ci accettiamo coi nostri limiti, o li rifiutiamo, ignorandoli o al contrario ingigantendoli e quindi provando un forse disagio o una scarsa autostima?
In una parola, siamo obiettivi?
Se esistesse una bilancia che, come per il peso corporeo, fosse in grado pesare in modo esatto anima e cervello, atti e potenzialità, sarebbe tutto semplice. Avremmo un numerino, magari coi decimali, che ci dà la misura o la definizione esatta di quel che siamo.
Vieni qui, tu: in base ai tuoi parametri, età, altezza, ecc. dovresti pesare 85 kg; invece sei 120, buttati nel cesso e tira l’acqua. In alternativa, ripassa dopo che avrai digiunato a lungo. Ora vieni tu: dovresti essere sui 70 e invece pesi 45 kg; pure tu, al cesso, non ci servono anoressici. E così via.
E invece no.
E se già è complicato avere un rapporto equilibrato con la realtà esterna, avercelo con se stessi è proprio un labirinto intricato di incroci da considerare. Percezioni nostre, altrui, emozioni, sentimenti, elementi innumerevoli che contribuiscono a distorcere la visuale.
Chi sono, come mi vedo, come mi vedono? E cosa conta di più, come mi percepisco io o come mi percepiscono gli altri?
In assoluto io credo che conti molto come valutiamo noi stessi. Se ci accettiamo, se ci vogliamo bene… malgrado i numerosi, inevitabili, difetti e le altrettanto inevitabili zone d’ombra. Eh sì miei cari, perché per solari, trasparenti e lineari che possiate sentirvi, la questione c’è: siamo tutti, ciascuno in modo unico e differente, frutto di un gioco tra luci e ombre. Alcune difficilmente comprensibili anche a noi stessi. Sappiamo conviverci? Facciamo anni di osservazione e auto-osservazione, analisi, talvolta psicoanalisi, confronti; ma una quota di ombre e dubbi alla fine rimane comunque.
La mia personale chiave si chiama accettazione. Il tentativo di convivere con l’incertezza, che del resto è connaturata al vivere stesso, con le parti meno illuminate e illuminanti di noi. Con le nostre fragilità. Coi limiti. Certo, sarebbe cosa buona e giusta evitare le distorsioni eccessive tra la nostra visione interna e quella esterna. Non dirò “come siamo”, assodato che questa formula rimandarebbe ad una oggettività pressoché impossibile. Come si fa a dire in modo oggettivo come siamo?
Vogliate bene ai vostri difetti e ai vostri limiti per primi: solo così potrete superarli
Siamo chi siamo, canta Ligabue.
Intanto, qui mi chiedono, per esempio, di esprimere una valutazione sulla mia “reattività al cambiamento”, da uno a sette. Oppure se mi sento dotato di leadership o se diffondo “valori positivi” tra i colleghi con cui lavoro. Chiedere direttamente a loro, no?
Vi passo la scheda, me la compilate voi?
Conta di più la nostra percezione di noi stessi, ok.
Se siamo equilibrati.
Altrimenti, io dico che mi sento magro e che somiglio a un modello scandinavo biondo e dagli occhi azzurri. E non rompete contraddicendomi, io mi sento così e basta!
Vogliatevi bene. Non forzando la realtà o rifiutando di vederne alcune facce: vogliatevi bene per quelli che siete. Vogliate bene ai vostri difetti e ai vostri limiti per primi: solo così potrete superarli.
Fermo restando che… siamo chi siamo.