Diario d’una venditrice d’aria
Disillusione è il punto di inizio e il punto di arrivo nella lettura di questo diario fittizio, frutto della scrittura consapevole di una voce quasi coetanea.
Comincio a prendere confidenza con il panorama letterario di questo Veneto che inizia ad essermi casa. Più leggo e più mi piace osservare questo nuovo angolo di mondo con gli occhi miei e con quelli di chi sa narrarmelo. Come ha fatto, ad esempio, Ginevra Lamberti nel suo La questione più che altro, edito da Nottetempo. Ho iniziato a leggerlo esattamente il sei dicembre, quel giorno in cui mancano diciannove giorni a Natale e venticinque a Capodanno: esattamente il giorno che la protagonista evoca nel suo diario, esattamente il giorno in cui, inoltre, l’autrice incontra i lettori a Conegliano, poco distante dal centro commerciale in cui mi trovo per lavoro. Pensare che, leggendo le prime pagine del romanzo nei miei dieci minuti di pausa, la conta dei giorni è iniziata quasi per gioco, per capire a che giorno la protagonista si riferisse. Pensare che, sempre nei dieci minuti di pausa, qualche strana confluenza di energie mi ha spinto ad incamminarmi dalla caffetteria dove poltrivo fino alla libreria per scoprire che, nell’altra sede della stessa, la Lamberti avrebbe di lì a poco fatto la sua comparsa. Il che già bastava per coinvolgermi.
Aggiungiamo poi un secondo potentissimo fattore: quella di Gaia è una storia in cui, in questo momento della mia vita, mi ritrovo profondamente.
Gaia che divide la sua quotidianità fra familiari complessi e indefiniti – genitore e genitrice, c’est tout – e lavori del tipo vendere aria di Venezia, sorridere no stop per attivare più carte fedeltà possibile, sorridere anche quando si decide di “tenere il broncio al mondo”, quando si è esortati a combattere gli attacchi di panico a suon di caffè, mentre ci si aggira con l’immancabile accessorio femminile ovvero il patè di porchetta piccante (!) . Gaia che vive in un appartamento condiviso che è “generatore automatico di assurdità”, come tutti gli studenti o lavoratori fuori sede possono confermare, e lavora, fra l’altro, in un call center in cui l’assurdità dell’appartamento si protrae e in cui Gioia mette da parte la sua sete di provvigioni economiche di fronte alla speranza che i suoi coetanei potenziali clienti non cadano nella trappola ammaliante del contratto che lei stessa propone.
Gaia, un po’ per mancanza di alternative valide e un po’ per non piangere, sorride all’idea del precariato come metafora di un eterno ritorno dell’ultimo giorno di scuola, in cui commozioni e confidenze si improvvisano dal nulla, nel trasporto generale. Nelle avventure tragicomiche di Gaia c’è quella nell’Azienda, non citata ma immaginabile, in cui si rintana il turista medio dopo averla ostinatamente cercata in tutta la città -di qualsiasi città si tratti- come santuario di redenzione e rifugio di stomaci diffidenti e palati omologati. Azienda in cui il suggerimento che emerge della riunione è quello di “ricostruire l’automatismo che ci porta ad essere autentici”, perché non è questione di forzarsi ad essere ciò che non si è ma soltanto di “spegnere il cervello e andare col pilota automatico”.
Un sorriso leopardiano, quello amaro che emerge leggendo la Lamberti. Tanti presagi di morte buttati qua e là fin dall’inizio, tanto che l’autrice, più che presagi, ama definirli dichiarazioni, perché non c’è tentativo di creare sorpresa attorno all’evento della morte. Morte e vuoti come costante a cui si fa l’abitudine. La sua è una scrittura che mi ha ricordato Viola di Grado, paragone che dal punto di vista dell’uso del linguaggio è stato apprezzato dalla Lamberti. Linguaggio cesellato, lo definisce Ginevra. A me, per descrivere quello di Gaia, era emersa la definizione di “asettico”: asettico per la distanza che la protagonista tenta di tracciare rispetto al mondo, per la sua presa di distanza dalla genitrice, da “L’Azienda”, da “L’Albergo”. Eppure con la Di Grado io trovo anche altri punti di vicinanza. L’amore per le crepe nei muri, il “sarcasmo scaramantico” delle protagoniste, per usare la definizione della stessa Lamberti. E quei personaggi che compaiono, nelle parole della protagonista de La questione più che altro, come macchiette: il prete, Gandhi, Miss Italia nel mondo, i compagni, i bizzarri coinquilini, i colleghi di lavoro. È sintomo di noia, senso di superiorità o distacco? Ginevra mi spiega che “Gaia non ha grandi problemi con la noia, è una compagna fidata e paradossalmente divertente. Il senso di superiorità è un demone tenuto costantemente a bada dall’ironia e dall’autoironia, il distacco una forma di difesa che non si compie mai fino in fondo.”
Nel mondo in cui tutto pare ruotare attorno al marketing e alla comunicazione e in cui il rischio è quello di non saper comunicare, di fatto, più nulla di autentico, si è mossa, prima della sua creatura, la stessa Lamberti, tanto da abbandonare il desiderio di contrastare la fuga dei cervelli e la rincorsa di un paradiso altrove. Oggi, ammette, si rassegna all’ipotesi che un futuro migliore si nasconda fuori dall’Italia.
L’Italia resta però forte nei suoi scritti, in primis attraverso i controversi personaggi che sono eco dei suoi familiari ed omaggio di gratitudine, “perché tra le altre cose sono anche il prodotto delle loro cure, dei loro racconti, della loro epica, dei loro errori”