Cosa resta di noi; un noir
Il genere è morto, viva il genere. Per esempio il noir, è romanzo di genere? Io credo che non lo sia mai stato. Già prima di Simenon forse non lo era. Quando ho conosciuto Giampaolo Simi qualche buon annetto fa, mi dicevano che era un autore di genere. I suoi romanzi li ho letti quasi tutti e mi sono anche piaciuti molto. Però il genere non mi piace, il noir sì, ma il noir non è genere, uffa. Per farla breve quest’estate ho letto poco, perché scrivevo molto. Ma quando esce un romanzo di Giampaolo lo leggo prima possibile. Quindi Cosa resta di noi ha occupato un posto d’onore: l’ho letto in vacanza, rovinando la copertina con la sabbia e le trasferte assolate, le valigie piene di pinne dei ragazzi e conchiglie raccolte a mare. Oltre a leggere questo romanzo che ha come ambientazione il Bagno Antaura, in Versilia, questa estate è stata la prima in vita durante la quale ho frequentato un poco la Versilia, e quindi davanti a quel bagno ci sono pure passata. Esiste per davvero. E come esiste il bagno esiste questa storia, la storia che narra il libro. Perché è una storia che pare di toccare, di conoscere. Non è certo una storia popolata da personaggi “alieni”, da situazioni rare, da storie dell’altro mondo. È proprio una storia che -soprattutto per una toscana come come- è familiare. Tant’è che sono familiari i caratteri, i luoghi, le situazioni, le atmosfere, e persino un fatto di cronaca al centro degli accadimenti che conduce fortemente ad un altro accaduto qui vicino casa, ad una donna che molti miei amici conoscevano personalmente, Roberta Ragusa.
Non serve tuttavia essere toscani per sentirsi coinvolti da questa storia che mette radice nei sentimenti base della vita dell’uomo, sia quelli più alti che quelli più biechi. Che parla di donne e uomini che potremmo essere noi, davvero molti di noi. Con i nostri lati più accattivanti e quelli che vorremmo nascondere a tutti. La bravura di Giampaolo sta nel narrarli con
E come esiste il bagno esiste questa storia, la storia che narra il libro. Perché è una storia che pare di toccare, di conoscere.
Dopo avervi messo a disposizione una breve sinossi della storia dalla scheda libro della Sellerio, potrete leggere le risposte di Giampaolo Simi ad alcune domande che gli ho posto.
Dalla scheda Sellerio su Cosa resta di noi:
Un noir che disturba e sorprende, una tensione che sale piano come la marea. La storia di un amore che lentamente si trasforma in veleno, di un vuoto intimo che trasfigura una ragazza meravigliosa. In questo senso Cosa resta di noi fa pensare ai romanzi di Patricia Highsmith.
Guia, la protagonista, chiama «morte vista al contrario» la sua impossibilità di avere un figlio: «una vita che non solo non inizia ma non riesce nemmeno ad essere concepita». Eppure è una ragazza nata per essere felice, di antica famiglia, scrittrice indirizzata al successo, sposata con un uomo che ama ed è pazzo di lei. Ma è in questa unione di felici che si infiltra il «lutto al contrario» del figlio mancato, come una crepa che si allarga e non si può fermare. Edo, il marito, il Narratore, segue le scene da questo matrimonio che si sta suicidando, nel letargo dorato degli inverni in Versilia, mentre Guia riversa in un prossimo romanzo tutta la sua disperazione e scrive di un tempo diverso da quello che stanno vivendo. Intorno le quiete banalità di coloro che «hanno tempo, soldi ed energie in surplus». Ma ad un tratto lo scenario cambia. Nella vita di Edo appare un’altra donna che però, pochi giorni dopo, svanisce nel nulla inspiegabilmente. La sua scomparsa diventa il caso del momento, segna l’irrompere di una realtà cieca e distruttiva nella crisi che Edo e Guia stanno cercando di affrontare. La lucida follia del circo mediatico divora torbidi risvolti in nome del conformismo e del pettegolezzo più morboso. Finché cosa resta di loro è soltanto l’assenza.
Giampaolo Simi, con la sua prosa capace di svariare dall’ironia alla tensione, riesce a raccontare di una specie di contagio che parte da una mancanza intima, fisica e spirituale, che si espande e diventa una trappola da cui nessuno riesce più a fuggire.
Per il personaggio di Giangi, l’ambiguo “guitto” di questa storia, da quale/quali comici toscani hai tratto ispirazione?
Ma questa volta, il romanzo vincitore del Premio Scerbanenco 2015 sta tutto in equilibrio variabile su una frase
La scomparsa di Anna ha molte somiglianze con il fatto di cronaca legato alla scomparsa di Roberta Ragusa, sempre ambientato in Toscana, diventano col passare del tempo più evidenti, è stato un accostamento voluto?
Difficile parlare di somiglianze, nel momento in cui per il caso di Roberta Ragusa una verità non si è raggiunta. Anna è una donna single, vive da sola, non ha una famiglia che ne denuncia la scomparsa e questo rallenta fatalmente le indagini sul caso. È vittima anche della sua solitudine, in un certo senso.
Qual’è stata la “definizione” o meglio la descrizione di Cosa resta di noi che più hai trovato calzante, tra i vari termini che sono stati usati quali noir, giallo “psicologico”, etc. Qualcuno l’ha chiamato anche storia d’amore, lo è?
È sicuramente un noir. Anche perché poi nel noir l’amore, le passioni e le ossessioni hanno piena cittadinanza fin dalle origini.
Premio Scerbanenco: hai concorso e vinto tra una serie di libri e autori molto validi, ci credevi?
Diciamo che ci speravo, come è giusto che sia. Non fosse altro che per quel nome sulla fascetta. Non sono di quelli che in pubblico snobbano i premi e poi tormentano l’ufficio stampa perché non sono nella dozzina dello Strega, per dire. Il Premio ha dato un ulteriore slancio al libro, che era già uscito da diversi mesi.
Cosa resta di noi è un romanzo di genere, oppure è il premio che allarga le prospettive?
I generi non esistono più e la cinquina del Premio Scerbanenco di quest’anno lo esprimeva chiaramente. C’è una contaminazione a tutto campo. Penso che sia giusto così. Il noir, poi, non è mai stato un vero genere codificato, ma una sensibilità, una sfumatura, un retrogusto.
Il romanzo è ben ancorato nella sua ambientazione versiliana. Una volta mi hai detto che la Versilia ha iniziato la decadenza già negli anni ’60. Non è il primo romanzo che vi ambienti e comunque l’immagine che esce della tua terra è sempre abbastanza “decadente” se non decaduta. È quel luogo ancora uno specchio in cui si possono vedere le deformazioni della classe media toscana, o no?
La Versilia non è stata più la stessa dal caso Lavorini, e cioè dalla fine degli anni ’60. Per altri vent’anni buoni, però, è riuscita a diventare proprio meta di una classe media che pensava di potersi permettere un lusso. Oggi la classe media è stata spazzata via, scaricata senza un grazie dagli stessi che l’hanno usata come argine ai movimenti di cambiamento che erano iniziati negli anni ’60. Logico che la Versilia sia uno specchio fedelissimo di questa caduta.
Questo libro ha un brano di sottofondo che è dei Blur, ma ha anche di sottofondo tutta la musica della tua generazione, dal Boss ai cult dei dark anni ’80, e anche le eterne diatribe sulla musica Pop, Duran – Spandau / George Michael – U2. Ma se tu dovessi scegliere un brano per colonna sonora, sarebbe i Blur effettivamente, o quale?
Il brano si intitola The Universal ed è una delle canzoni pop più belle degli anni ’90. È la canzone del libro, senza dubbio, perché ha quella specie di ambigua, elegante malinconia (pur essendo tutta in tonalità maggiore) che appartiene proprio al romanzo.
Qual’è il personaggio che salvi di quelli che hai descritto di Cosa resta di noi?
Un narratore li salva tutti, nel momento stesso in cui sceglie di raccontarli.