La maglia dei campioni
La maglia. Idolatrata, onorata, magnificata maglia. Ci sono calciatori indimenticati che ne hanno avuto solo una. Come Franco Baresi con il suo Milan, Totti e la Roma, o Gigi Riva con quella sua divisa rossoblù del Cagliari.
E ci sono maglie ritirate a imperitura memoria di un calciatore, così nessuno indosserà mai il numero 6 del West Ham United dopo Bobby Moore, e il numero 3 dell’Inter sarà per sempre, idealmente, Giacinto Facchetti. Pochi altri oggetti del calcio sono carichi di significato come la maglia, e forse questa su tutti, più degli stadi, più di ogni pallone, è simbolo di appartenenza, tanto che basta dire bianconero, nerazzurro, rossonero, blaugrana, per sapere di chi stiamo parlando.
il numero 3 dell’Inter sarà per sempre, idealmente, Giacinto Facchetti.
Se è vero che fuori dal campo ci si può incatenare di oro e argento alla moda del peggior rapper di Harlem, in campo di monili e suppellettili varie non se ne parla proprio. Peccato, sai che roba festeggiare una rete davanti all’obiettivo con tanto di catenone, anello e paccottiglia varia? Bella frè.
L’equipaggiamento di base è costituito da: maglia con maniche (visto mai un giocatore in canottiera?), calzoncini, calzettoni, parastinchi e scarpe. Qualche eccezione è prevista per i portieri, che possono indossare guanti, e avere pantaloni lunghi. Inoltre il capitano deve indossare una fascia al braccio di colore diverso da quello della maglia.
Anni fa, con una squadra composta al bar durante un aperitivo lunghissimo, mi presentai ad un torneo di quartiere. Un postaccio. Condomini bigi e alti come sequoie, giardini di cemento, messaggi equivoci in vernice nera pressoché ovunque. Maledetto Campari, ci siamo detti. Ma oramai il dado era tratto e occorreva giocare.
L’arbitro, ometto per nulla impaurito dal Bronx che lo circondava e alquanto solerte nel far rispettare le regole, volle che i capitani delle due squadre portassero una fascia. Nessuna delle due squadre aveva pensato a dotarsi di un tale orpello. Cosicché noi ci arrangiammo con un fazzoletto stretto al braccio, mentre la squadra del quartieraccio che ci ospitava, invece, optò per un laccio emostatico. Come finì il match non ricordo. Da lì in poi ho rimosso tutto.
L’arbitro volle che i capitani portassero una fascia. Noi ci arrangiammo con un fazzoletto stretto al braccio; i nostri avversari optarono per un laccio emostatico.
Tempo fa è successo un fatto strano. Nel campionato boliviano, e parliamo di serie A, la squadra del Ciclòn si è trovata a giocare contro il Real Potosì con maglie di colore pressoché identico, bianco. Ora, di mute di altro colore, non ci è dato sapere il motivo, non ce n’era manco l’ombra. Al ché un dirigente del Ciclòn ha avuto la brillante idea di uscire dallo stadio e rivolgersi alla prima bancarella disponibile per acquistare undici divise da gioco. Chissà cosa avranno pensato i giocatori del Real Potosì quando invece che il Ciclòn si sono visti schierare davanti a sé la Roma. O almeno, così suggerivano le casacche acquistate dal brillante dirigente della squadra. In realtà sotto le maglie capitoline (taroccate, per giunta) i giocatori erano pur sempre quelli del Ciclòn. E si è visto. Quattro a zero per il Real Potosì il risultato finale.
Le scritte di natura politica, religiosa o personale sono tassativamente vietate. E’ vietato inoltre ogni strumento di comunicazione elettronica tra i calciatori e gli allenatori, così come indossare orologi di qualsiasi genere. Consentiti invece gli occhiali, specie nelle categorie giovanili.
Nei favolosi anni novanta del pallone nostrano le magliette della pelle con scritta annessa furoreggiavano. C’era chi approfittava di una rete per alzare la maglia e sfoggiare un saluto alla fidanzata, un messaggio irriverente o salutare il gruppo rock del cuore. Noi vogliamo però ricordare la bella trovata di Gian Pietro Piovani, attaccante del Piacenza, che dopo un goal volle lanciare all’Italia intera l’augurio di un felice Natale. Grazie, altrettante.
In serie A e in serie B ogni giocatore avrà sempre lo stesso numero di maglia, con tanto di cognome stampato sul dorso. In Lega Pro e tra i dilettanti è invece obbligatoria la numerazione progressiva da 1 a 11, dove l’1 sarà il portiere, dal 2 all’11 i calciatori degli altri ruoli e dal 12 in avanti quelli di riserva.
E adesso due curiosità: se una squadra si presenta senza numeri di maglia, comunque l’arbitro dovrà farla giocare: porterà con sé i documenti dei giocatori, e all’occorrenza li userà per riconoscerli. Una fatica in più per il direttore di gara, che non mancherà di essere sanzionata dalla giustizia sportiva.
E se un giocatore perde una scarpa e immediatamente dopo segna una rete? Il gol sarà valido, ma solo se la perdita della scarpa è stata accidentale. Se è successo? E’ successo: il danese Preben Elkjær Larsen, mitica punta dell’Hellas Verona, segnò un gol senza scarpa alla Juventus il 14 ottobre 1984, anno in cui i gialloblù vinsero poi il campionato. Ma da ultimo è capitato anche a Matri, in uno Juve – Fiorentina della stagione 2013.
Appuntamento tra sette giorni con la regola 5; sarà ospite d’onore della puntata il personaggio più controverso del campo di calcio: l’arbitro. Cornuto. Come al solito.
Sorpresi di aver scoperto cose nuove sullo sport che più amate e che credevate di conoscere a menadito? Curiosi di saperne di più? Scaricate qui una copia del Regolamento del Gioco del calcio: avrete di che parlare con gli amici!