La Scuola, o il volo di Silvio Orlando
Il filone cinematografico di ambientazione scolastica è un piatto che piace a tutti. Se non altro perché buona parte di chi fruisce di serie TV e di film ha avuto esperienza diretta della vita fra i banchi di scuola ed ha probabilmente passato ore ad immaginare le lunghe discussioni che si svolgevano nella blindata aula dei professori o nel corso degli ancora più impenetrabili scrutini.
Forse per questo quando uscì, nel 1992, lo spettacolo Sottobanco portava già con sé le potenzialità per finire sugli schermi, dove arrivò nel 1995 con il titolo La Scuola. Al cinema la gente va più liberamente che a teatro, sembra. Eppure è stato proprio questo passaggio al grande pubblico, probabilmente, a portare La Scuola di nuovo sul palcoscenico, sempre sotto il nome di Silvio Orlando e Daniele Lucchetti: adesso che le vicende paradossali, i dialoghi brillanti e le piccole ordinarie crisi e follie di questo gruppo di professori è noto, non si teme più di veder recitare dal vivo gli attori che venti e più anni fa hanno dato vita ai personaggi che sono rimasti nel cuore di tutti. Almeno, questa è la conclusione che emerge dando un’occhiata alla sala piena del Teatro stabile Verdi di Padova, dove ritroviamo l’allegra combriccola al completo. Mortillaro con il suo terrore dei beduini, Vivaldi, accanito sostenitore di alunni irrecuperabili e La Mosca, di cui a teatro ci arriva soltanto l’eco, il racconto, il verso, l’imitazione che, a staffetta, fanno tutti i professori durante il loro incontro, fino a culminare nella scena imperdibile di un Silvio Orlando volante. L’ambientazione unica dello spettacolo è la sala dei professori, gli studenti sono riferimento costante ma restano assenti sul palco.
Tanti professori nel pubblico, pronti a ridere di fronte ad una storia che potrebbe benissimo appartenere anche a loro. Spettacolo per certi versi profetico, La Scuola è, secondo Orlando stesso, lo spettacolo più importante della sua carriera. Per chi lo vede però è anche quello che più resta attuale, quello che per primo ci ha mostrato i professori nel loro volto più umano e quindi a tratti patetico, naif, assurdo, ma proprio per questo simile anche a chi, non essendo professore, non professa un bel nulla. Ancora una volta rivivere gli scrutini della IV D strappa allo spettatore, soprattutto ai professori presenti in sala, un risolino auto ironico, una leggerezza che per una volta lascia da parte le problematiche emerse a seguire nel mondo dell’insegnamento: il precariato, gli stipendi inadeguati, le riforme discutibili. Per due ore la scuola torna un microcosmo a sé, dove talmente tante sono le vicende che si intrecciano che non c’è spazio nella filigrana per alcun pianto.