Nabucco ovvero il lamento del migrante.
Il viaggio è metafora della vita e l’esilio esprime una particolare forma esistenziale: il sentirsi ex solum, cioè lontano dal suolo. Una forma di esilio è divenuta anche l’emigrazione, fenomeno oggi di grande attualità: volti di uomini, donne e bambini dagli sguardi esterrefatti e rassegnati, ma anche rivolti ad aspettative che spesso si trasformano in delusioni. La sofferenza dell’esule ha trovato parole e musica nel famoso coro del Nabucco in cui Verdi dà voce alla nostalgia del popolo ebraico prigioniero in Babilonia. L’intero brano è eseguito dal coro in una sola linea melodica come se fosse eseguito da una voce sola; è questa la novità che Verdi realizza, quasi ad indicare che il dolore per la patria lontana ha una sola voce.
E proprio con un occhio rivolto alla cronaca che in una produzione del Nabucco il regista dichiara “…è un patrimonio dell’umanità perché ci racconta una storia universale di incomprensioni fra popoli, di pregiudizi, di muri che hanno attraversato il tempo e oggi si ripetono negli stessi luoghi del racconto”. Così la produzione dell’opera in questa personale e sociale visione raggiunge lo spettatore nel suo intimo e, mentre sul palcoscenico si alternano le vicende di Fenena e Abigalille, nell’animo del pubblico presente in platea si accavallano le immaginni dei telegiornali: il bambino esanime sulla spiaggia, i barconi colmi di esseri umani in balia delle onde e dei governi .
È sempre questa la forza trascinante della musica: dare una colonna sonora all’ attualità e ai sentimenti umani; l’opera più risorgimentale di Verdi racconta una storia di potere poiché gli spettatori italiani dell’epoca potevano riconoscere la loro condizione politica in quella degli ebrei soggetti al dominio babilonese. Un popolo costretto dalla storia ad un esodo che si ripete nei secoli e che ha il suo apice nella tragedia della Shoah.
Temistocle Solera nel libretto dell’opera mette anche l’accento sulla condizione emotiva del protagonista: Nabucco, o meglio il re Babilonese Nabuconodosor, è combattuto tra la smania del potere, più volte alimentata dalla gelosia di Abigaille, e la fulminazione della consapevolezza della precarietà della condizione umana e politica.
La sofferenza dell’esule ha trovato parole e musica nel famoso coro del Nabucco in cui Verdi dà voce alla nostalgia del popolo ebraico prigioniero in Babilonia
Questo è il finale dell’opera che rimette a posto, nella semplificazione delle categorie dei buoni e cattivi, i sentimenti religiosi e conformisti dela società dell’800.
Ai giorni nostri non possiamo più affidarci alla catarsi della conversione religiosa giunta attraverso fulmini che colpiscono le coscienze, ma guardare in modo “asettico” la cronaca che giunge anche in modo demagogico attraverso le immagini. Analizzare il fenomeno senza le suggestioni della musica ma attraverso le indagini sociologiche.
Per esempio Saskia Sassen, sociologa della Columbia University, ci ricorda che: «La storia ha già conosciuto fasi di grandi migrazioni, ma mai su questa scala, nello stesso periodo e con una tale rapidità». Una realtà complessa e dinamica che per la studiosa americana non può essere risolta con «repressioni e misure di controllo», e soprattutto non si può affidare la sopravvivenza di intere etnie alle organizzazione di volontari.
Non si fugge solo per la chimera di una vita miglore ma si va alla ricerca di dignità umana. ”Va, pensiero sull’ali dorate/Va, ti posa sui clivi, sui colli, /Ove olezzano tiepide e molli, /L’aure dolci del suolo natal/[..] Oh mia patria sì bella e perduta/Oh membranza sì cara e fatal”.