Nuova ossessione o aporia
Sarà che in giro sento solo parlare di politica (anche se quella di oggi non è politica), di quanto si odi questa o quella persona, questa o quella celebrità, di quanto ci si annoi in questi Stati violentati dalle istituzioni, di quanto ci sia poco da sperare, mentre la resistenza della parte positiva dell’umanità cerca di trovare rimedi, soluzioni, modifiche, illusioni. Sarà che sedersi ad un caffè con un bicchiere in mano, perdersi a parlare del più e del meno, apprezzare l’esistenza e le sue qualità, aiutandosi con i pensieri di chi, prima di noi, si è posto domande e ha cercato di trovare risposte ai quesiti meno scientifici e più “umani”, è diventata quasi un’aporia. Sarà che sto rispolverando classici letti alle superiori andando da Il fu Mattia Pascal a La Coscienza di Zeno, passando per Se una Notte d’inverno un Viaggiatore. Sarà che mi stanco velocemene delle cose facili (non semplici, attenzione!) perché se mi riescono al primo colpo non ha senso riprovare, e forse sarà anche perché quelle che invece credevo fattibili, risultano valichi insormontabili che mi obbligano a fare un passo indietro. Saranno mille altre cose, centomila pensieri, un milione di osservazioni, un miliardo di parole espresse (che sono sempre meno di quelle rimaste taciute), insomma sarà qualsiasi cosa, ma oggi, un po’ in stile Zeno Cosini, vi affido la mia pazzia.
Cullatela, amatela, richiedetela. Non è sempre facile far parte di una comunità di esseri umani, ci avete mai pensato? Sicuramente sì, ma forse solo alcuni ci fanno poi caso, mentre altri evitano di soffermarsi troppo su tali ponderazioni per non perdersi. Io amo perdere, amo perdermi. Credo di averlo scoperto solo da poco, in realtà, perché fino a poco fa vi avrei confidato il contrario. Non mi piaceva assolutamente perdere il treno per andare a scuola per esempio. Vederlo passare mentre il cuore inizia a battere più forte in preda all’indecisione sul correre o meno per cercare almeno, anche se invano, di arrivare in tempo prima che chiuda le porte e riparta. E quei minuti di arresa che seguono la sensazione di sconfitta. Si cede, si spegne il fastidio e si va avanti. Eventualmente si trova una soluzione, si cerca un autobus, o si chiama l’amico per un passaggio in macchina. O si torna semplicemente a casa, convincendosi che forse, quel giorno, doveva andare così. Spiegarlo ai genitori all’epoca del liceo era un eventuale ostacolo da superare, ma ora come ora, ad un paio di pugni di anni di distanza, perdere un treno è quasi gratificante. Ma come? Sì, l’ho detto.
Sono arrivata ad un punto in cui perdermi è in realtà quello che spero. Mi consente di mettermi alla prova, di capire e testare la mia capacità di ripresa, anche se devo essere onesta, non è sempre così.
Ecco, questa per me è un’ossessione. È una perdita che subirei sempre, perdere tempo che non sarebbe tempo perso perché perduto a perdersi. Fantastico. No?
E invece ad oggi, devo lasciarmi andare all’aporia. All’impossibilità di esprimermi, di trovare una soluzione alla perdita-condivisa, tutto è già perso in partenza poiché, gli esseri umani, si sa, sono fondalmentalmente una contraddizione. A me rimane solo l’ossessione, come dicono i Subsonica “Ti cerco perché sei la disfunzione, la macchia sporca, la mia distrazione, la superficie liscia delle cose, la pace armata, la mia ostinazione. Nuova ossessione che brucia ogni silenzio, dammi solo anestetici, sorrisi e ancora nuova ossessione corrodi ogni momento, sei la visione tra facce da dimenticare.” Ma quella resti, e quella sei. Senza soluzione.